Faussimagna

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È un villaggio sulla riva calda della Val Chisone, indritto di Pragelato, sul sentiero che da Soucheres Basses conduce alle bergerie e poi al Colle dell’Assietta.
Un villaggio bello, di quelli della Repubblica degli Escarton, la Repubblica delle Libertà, libera e solidale per davvero in tempi antichi. Un villaggio con case grandi, d’architettura sopraffina con materiali a chilometri zero, messi assieme da maestri senza l’impaccio di architetti e burocrati inutili, invisi alla storia e al tempo. Faussimagna, dal nome strano e bello, certamente impostole per darle importanza, come può aver importanza il lavoro dell’uomo quando piega in bene, con rispetto, quel che gli offre il cielo e se ne nutre.
Una cinquantina d’anime nell’Ottocento. Abbandonata tra gli anni venti e quaranta del secolo scorso.
Oggi Faussimagna è morta. La sua immagine stagliata alta contro la montagna e l’azzurro accoglie il visitatore come un pugno nello stomaco, violento e senza scampo. Niente poesia in quei ruderi .
L’uomo cerca ancora, con ammirevole volontà, di tenere in vita qualche casa. Ma la vecchia, vera, Faussimagna, era altra cosa.

Faussimagna, 20 novembre 2014
Faussimagna, 20 novembre 2014

Valchisone terra bella dispone di una reliquia, di un filmato girato il 16 maggio 1996.
Molte case vi appaiono in rovina, ma una di queste mostra una bellezza che abbaglia. Sul muro, alto sulla via, una meridiana fiera offre, col suo motto, parole sagge al passante e, a lato, la genesi astronomica ne spiega la nobiltà.
Porte sfondate, come sempre nei villaggi abbandonati, ma dentro i segni della vita vera di quel luogo; dentro, un museo, nato, cresciuto e radicato lì; non posticcio, vero: a mostrare, senza filtri e senza veli.
La stalla, con l’ingegnoso ripiano per i formaggi e il capitello in legno a sostenere la volta; il forno protetto e riparato, gli armadi con serrature – all’apparenza – possenti e i letti, già ammucchiati perché non più utili; il ventilabro, e altro ancora che fatichiamo a identificare, noi figli del petrolio e dello spreco.
Su tutto i legni, larice di bronzo sfavillante, uscito da pialla d’ascia a sfidare il tempo e a incantare chi osserva. Legni a chiudere i vani e limitare gli spazi, a delineare pavimenti capaci di sfidare il freddo, a reggere il tetto in un crescendo armonioso di travi magicamente fermate a reggerne altre; soltanto una scala per il cielo, se ci fosse, potrebbe reggere il confronto con tanta bravura, tanta essenzialità, tanta perizia.

Faussimagna, 20 novembre 2014
Faussimagna, 20 novembre 2014

Tutto questo non c’è più, bruciato tra il 16 maggio 1996 e il 20 novembre 2014.
Non ci si riconosce più. Il nulla. Soltanto la meridiana segna ancora l’ora. Stanca, perché nessuno ha più sapienza, e tempo, per leggerla. Lei che il tempo ha segnato, e segna.
Il fuoco l’ha risparmiata, perché figlia del sole e dell’ingegno umano.

C’è voluto gran coraggio e forte animo per sfilare, oggi, in silenzio, tra quelle rovine, dove il cuore credeva di ritrovare l’antico splendore. Il coraggio per reggere il fiato del tempo, crudele, e l’uomo che rinnega se stesso, aiutato dalla sfortuna, o dall’incuria.

Il fuoco non purifica soltanto, cancella. Come l’indifferenza umana.

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