Eisart Damount

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Eisart Damount
Eisart Damount

Oltre Roccio Clapie, Pramollo, il sentiero prosegue in mezzo ai boschi spostandosi lentamente verso Ovest.
Sentiero segnato, ma si capisce che lo frequentano in pochi. È regno del silenzio, dove nulla ti aspetti tranne pietre e foglie secche a celare i passi. Invece…
Improvvise, alcune pietre infisse al suolo a mo’ di ventaglio, a limitare e quasi ad aprire un viale, ti destano dai tuoi pensieri suggerendoti che sta per succedere qualcosa.
Pochi passi, poche decine di metri ed ecco il solito muro di pietre a secco apparire. Come un fantasma, ma buono, che non fa paura.
Prima, sotto il sentiero, un architrave superstite su due tratti di muro che rifiutano di tornare con le pietre del suolo. Poi una casa, a destra questa, con muri belli dritti. Volgi lo sguardo ed eccone altre, due o tre, celate dai tronchi fitti dei faggi. In estate non vedresti nulla nel mare profondo delle foglie. Ma la sorpresa non è tanto per le case, quanto per l’enorme roccia che le protegge dal vento del Nord. Come una chioccia raccoglie i pulcini, così quella pietra alta imponente abbraccia e copre le casette, a proteggerle, dal freddo e dalla pioggia, dalla neve e dalla bufera quando scende dal Gran Truc.
Attorno alle case è un tappeto di foglie secche. Ci sono tutte, non c’è stata aria a spostarle; crocchiano poco perché il tempo è umido e ti sembra di camminare su una nuvola mentre scopri quel piccolo mondo nascosto: Eisart Damount, si chiama. Che significa: luogo ripulito dai cespugli.
Alcune costruzioni sono crollate, ma quasi non si vede; si sono afflosciate, non crollate, e le foglie, autunno dopo autunno, hanno coperto e nascosto tutto, per rispetto e per affetto, come usa farsi con i cari che non sono più. Una casa porta in fronte una fascia blu intenso con sopra delle scritte, sbiadite e svanite. Un’insegna? Il nome della famiglia proprietaria? Del posto? E perché scriverlo? Per chi?
Incanta quel luogo, fatto tutto a scale e bari, con porte basse a costringerti all’inchino; finestrelle strette a rifrangere la luce per porgere agli occhi quel che non è più ma resta nell’anima di quella terra particolare.
Ti chiedi che facce avessero gli abitanti di quelle case, come vestissero, quale fosse il suono delle loro voce e del loro linguaggio; ti chiedi come fossero gli animali, mentre osservi il rifugio delle galline, piccolo a fianco, e quello del maiale.
Poi, l’ultima sorpresa. Da un uscio aperto a fianco d’un altro spalancato a lasciar intravvedere un letto corto corto colmo di paglia, ecco far capolino una cassetta per gli attrezzi. Artigianale. Legna di assi sottili, più forti del tempo e delle tarme. Chissà quali attrezzi portava e chissà per quale arte; leggera, certamente, che attrezzi pesanti non li avrebbe retti. La cassetta d’un sarto? D’un calzolaio? Assi di recupero con su tante scritte, in inglese!
È l’istante in cui comprendi che quanto hai immaginato forse è tutto soltanto un sogno. C’è altro, ben altro dietro quanto con fatica vai leggendo, sulle pietre e su quando mostrano timide le case. Philadelphia, Atlantic fining company, refined petroleum, dicono i vecchi legni. Storie di commerci, forse, o di migrazioni, a volte forzate, di viaggi, di legami spezzati, di speranze inseguite, non al fondo della valle, ma di là dal mare.
La storia delle Genti delle Valli Chisone e Germanasca è raccolta in quelle quattro assi leggere scritte di nero in inglese.
Storia di radici profonde e lontane. Da ricordare. Come Eisart Damount, da portare nel cuore.

... pietre infisse al suolo a mo’ di ventaglio...
… pietre infisse al suolo a mo’ di ventaglio…

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