Il tempo del cucù

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Maggio, tempo di primi caldi, di vita spiegata a pieno ritmo, sempre più veloce, a colmare ogni piccolo anfratto, ogni piccolo spazio, ogni improvvisata culla naturale.
Una parte di fiori è stata, molti stanno sopraggiungendo; a breve i primi frutti e gli uccelli sono tutti giunti dall’Africa dove hanno atteso la fuga del freddo.
Un “cucù, cucù”, insistente e ripetuto echeggia lungo i fiumi, nelle praterie e sulle montagne e colline. Non ovunque e continuo come un tempo, ma ancora vivo, a dispetto dell’indifferenza umana che non sente più nulla immersa nel sciocco dei sui rumori.
È il cuculo che canta, sempre e per tutti, che fa “cucù, cucù”; lo fa così tanto che, spesso, s’infiamma la gola e gracchia la voce.
Cerca una femmina, e intanto fa a botte con gli altri cuculi maschi; succede così che, ogni tanto, il cucù lineare del canto si rompa e si muti in suoni arruffati, affrettati e convulsi, col disordine di chi si batte e scorda di cantare. Un po’ come gli umani.

È tanto speciale il canto del cucù che un tempo era comune porlo negli orologi a muro per segnare il correre delle ore nelle case, anche di notte.
Due suoni c’erano a scandire il tempo: le campane e gli orologi a cucù, che per un mese, o poco più, in primavera, erano affiancati da quelli dei cuculi veri.

Se ti succedesse di sentirlo, quel canto, quel cucù impertinente e bello, vivace e pieno di gioia, sappi che quell’uccello è venuto fin lì per te; per te ha superato mille insidie, ha attraversato deserti e mari colmi di gente disperata che fugge, ma che non sa volare come lui.
Quell’uccello ti ha portato la primavera, per dirti che c’è sempre la stagione bella, anche se vivi al chiuso e non la senti più.
Te l’ha portata perché lavora per conto del cielo e per dirti di non correre più veloce del sole, e nemmeno delle campane e dell’orologio sul muro.
Soltanto loro possono scandire il tempo, che non si può superare e nemmeno sommare.
Il tempo del saggio cucù.

(Immagini F. Moglia)

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