Dai Persiani ai giorni nostri

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Un upupa vola verso il nido
Un upupa vola verso il nido

L’upupa è un uccello talmente particolare, per via della cresta erettile, ma anche per i colori, che fin dall’antichità ha richiamato l’attenzione dell’uomo.

Una leggenda persiana (VI sec. a.C.) dice: “l’upupa era una donna sposata; un giorno stava pettinandosi allo specchio quando il suocero entrò senza annunciarsi. Colta da incontenibile spavento la donna si trasformò in uccello e volò via con il pettine sulla testa”.
Per gli antichi persiani, inoltre, era l’uccello più saggio, messaggero del divino; “Dei segreti di Salomone tu fosti signora, e per questo cingesti un’aurea corona di gloria”.

Gli arabi la chiamano “al-hudhud“, uccello dottore, capace di individuare pozzi e sorgenti nascoste.
Anche nel Corano si parla dell’upupa: Re Salomone la invia come messaggero alla regina di Saba, per invitarla a seguire la sua religione.
Presso i latini Ovidio nelle Metamorfosi racconta la trasformazione di Tereo, figlio di Ares: “egli veloce correndo per dolore e sete di vendetta, si muta nell’uccello che ha sul capo una cresta ritta e uno smisurato becco sporgente a mò di lunga lancia: upupa è il suo nome, e armato pare a vederlo”.
Aristofane pone l’upupa nella commedia “Gli uccelli”, nella quale i protagonisti si rivolgono a lei per farsi indicare la strada per una “città più morbida” (per sdraiarvici sopra come su una pelliccia)…

Il mondo occidentale è meno gentile con l’upupa.
Nell’Antico Testamento, Deuteronomio gli attribuisce un immagine negativa, classificandolo animale impuro di cui è vietato cibarsi. L’impuro dipende probabilmente dal fetore che emana dal nido dell’upupa, dal quale non vengono asportati gli escrementi dei piccoli. Ma di certo l’upupa non se n’ebbe a male, ad essere definito non mangereccio.

Foscolo, ne “I Sepolcri”, 1806, scrisse dell’upupa:
“(…) e uscir del teschio, ove fuggia la luna,
l’upupa, e svolazzar su per le croci
sparse per la funerea campagna,
e l’immonda accusar col luttuoso
singulto i rai di che son pie le stelle
alle obliate sepolture (…)”.
Ma Ugo Foscolo era un poeta sublime e un pessimo ornitologo; l’upupa, infatti, è uccello squisitamente diurno.
Eugenio Montale, infine, negli “Ossi di seppia” del 1925, definisce l’upupa come messaggero della primavera, riscattandolo dalla brutta fama attribuitagli dalla letteratura medievale.

Un upupa imbecca un piccolo
Un upupa imbecca un piccolo

Detto tutto questo, e si potrebbe aggiungere altro, oggi che l’upupa è assai raro, anche nella bassa val Chisone dove pure ha sempre nidificato, lasciamo ai nostri amici il compito di farsene un’idea, un’icona se credono, un modello: compreso il fatto che, forse, semplicemente, deve il nome al suo canto.
(Immagini di F. Moglia).

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Ascolta: il canto del maschio, l’allarme, il pigolio nel nido