L’ultimo giglio

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Giglio martagone
Giglio martagone

Se davvero fosse l’ultimo giglio sarebbe una iattura terribile. Sarebbe dover pensare le montagne delle Valli Chisone e Germanasca senza uno dei loro gioielli più belli: il giglio martagone. Che zitto zitto e ben nascosto dove rapaci mani non sanno andare, proprio in questi giorni porge al sole i suoi colori.
Diciamo ultimo perché dopo di lui non fioriranno altre specie di gigli, bianche o arancio, a dipingere i prati e le rocce dove anche appena resiste un po’ di terra al riparo dal vento.
E come in uno spettacolo pirotecnico, qui lo è di colori e dunque ancora più bello, il fiorire annuale dei gigli culmina con il gran finale, con il martagone.
Martagone, ma anche giglio tigrato, riccio di dama, addirittura turbante del turco e tanti altri nomi che la tradizione popolare, e l’affetto delle genti, hanno attribuito a questo fiore.
Quando una pianta, o un animale, o una qualsiasi espressione di una terra, nel bene e nel male, vanta così tanti termini a indicarla, è la prova dimostrata di quanto sia radicata nei cuori e nelle menti.
Di quanto sia leggenda.

Giglio martagone
Giglio martagone

Guardatelo, il giglio martagone.
Riuscite a immaginare una composizione di viola e violetto misti a rosa e a un pizzico di nero che possa essere più armonica? Più carezzevole agli occhi?
Di più: non un dipinto statico nel tempo, ma che varia di giorno in giorno, con sfumature tanto lievi da quasi non poterle percepire. Col correre delle ore.
A confondere l’occhio, a sopportare insetti ingordi e pure tele di ragno tese a insidia tra quella meraviglia.
È l’ultimo, certamente, ma perché oltre, davvero, non era possibile andare.

Giglio martagone
Giglio martagone

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