La Civiltà delle Castagne

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Oggi parliamo di castagne che, assieme alle ciliegie, sono i frutti più belli del mondo.
Parliamo di castagne per i bambini che non le hanno mai viste al naturale, sotto un castagno, non le hanno mai vissute; per i bambini che non sono capaci di pestare i ricci senza pungersi per farle uscire al sole, che non hanno mai potuto raccoglierle, che non le hanno mai assaggiate buone come soltanto le castagne sanno essere, arrostite o bollite, persino crude, dopo averle pelate.
Parliamo di castagne per i nonni, per quelli che le castagne le hanno conosciute benissimo ma che non possono più viverle, perché sono migrati lontano, perché le forze sono poche e gli acciacchi non danno pace, perché i castagni che hanno vissuto sono stati abbattuti e nessuno s’è curato di sostituirli.
Parliamo di castagne perché questa è la loro stagione, anche se noi il tempo non lo misuriamo più sulla lunghezza del giorno, e nemmeno sappiamo più abbinare al tempo i frutti della terra.
Le ciliegie sono bellissime perché sono i primi frutti che vengono a far sorridere le bocche, le castagne sono bellissime perché sono gli ultimi frutti dell’anno, e sono dolcissime.

Hanno voglia di giocare le castagne.
Per questo, si presentano vestite delle spine dei ricci per poi mostrare all’improvviso e d’incanto i loro volti lucenti. Per fare sorpresa.
Sono scure le castagne, come abbronzate dal sole senza averlo mai visto nei lunghi mesi trascorsi lassù sui rami, proprio sotto i raggi più intensi.
Le castagne sono misteriose, come lo sono le uova di cioccolato a Pasqua; quando sono chiuse ermetiche nei ricci a nascondere le facce non si riesce a indovinarne l’aspetto.
A volte sono provocanti quando un’idea di sé lasciano trasparire dalla sottile fessura del riccio che le protegge; altre volte sono sorridenti, cortesi e invitanti, quando si mostrano a terra libere dagli aculei dei ricci. Ma nemmeno allora danno accesso alla loro dolcezza, perché non una, ma due pelli si frappongono tra il frutto e i palati golosi.
Tutto questo dovrebbero scoprire i bambini, tutto questo dovrebbero vivere e provare.
Tutto questo ricordano i nonni, che quando parlano di castagne tornano bambini.
Un frutto che fa tornare bambini è davvero speciale; perché ferma il tempo, addirittura lo fa scorrere indietro, per poter ricordare e raccontare.
I nonni raccontano di quanto fossero grandi i castagni, e come fosse bella e pulita la terra sotto gli alti rami, perché non potessero perdersi nell’erba e nei rovi i ricci in autunno e con loro le castagne.

Raccontano le facce di quelle castagne lontane.
Raccontano del rosso di volpe delle Roussette, piccole, tonde e dolcissime, le prime a maturare e cadere;
del rosso meno vivo orlato di bruno delle Savatue, grandi e panciute e tanto belle da essere mandate ai mercati; delle Fòuise, scure marrone, strette strettissime in tre assieme nei ricci dagli aculei meno pungenti, le ultime a cadere.
Le castagne nutrivano tutti, uomini e animali, bambini e nonni che le scioglievano nel latte per non chiedere aiuto ai denti, che ancora non c’erano o che erano dolenti, consunti e malati.
Bollite, bruà, per aggiungere energia ai magri pasti, o arrostite sul fuoco, brusatà, i mundai, per far festa ogni tanto e tutti assieme trovarsi a parlare e sorridere, attorno ad un fuoco che rompeva il buio precoce delle giornate d’autunno e pure l’aria ormai frizzante ad annunciare l’inverno vicino.
Una parte della vita delle valli l’hanno costruita le castagne. Una vita senza trilli e senza squilli. Una vita che le castagne hanno nobilitato. E aiutato.
Valli povere, dimenticate, dove il sudore, e pure le lacrime versate e il sangue non hanno avuto alcuna etichetta ad arricchirle. Civiltà alpina, si dice genericamente, e nulla più, pensando però alle grandi vallate e non a quelle piccole e spesso sperdute delle castagne.
Glielo diamo noi, allora, un nome degno alle valli; alla memoria, bello e dolce; lo diamo a una terra, ad un albero, a una gente e a una cultura; le insigniamo del titolo: Civiltà delle castagne.

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