Gli avvoltoi di Pian dell’Alpe

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Grifoni a Pian dell’Alpe

Se qualche tempo fa, qualcuno ci avesse detto che avremmo visto degli avvoltoi, grifoni per la precisione – Gyps fulvus, avvoltoio rosso, letteralmente – a Pian dell’Alpe – Usseaux – gli avremmo dato senza indugi del matto.
E invece è successo. E non uno o due, ma oltre una dozzina, grandi enormi, tanto che subito pensi all’aquila, perché mai più ti immagini di incontrare avvoltoi in quel luogo, ma poi sai che non puoi vedere dieci aquile assieme, allora guardi meglio e scopri la realtà.
Grifoni. Volano placidi, apparentemente lenti, piatti come un foglio di carta, senza un battito d’ali, eppur velocissimi.
Tu impieghi ore a superare mille metri di dislivello, con tanto di Madonna che ogni tanto ti appare quando la fatica giunge al culmine.
Loro invece in pochi minuti, cinque, dieci se le condizioni sono avverse, eccoli lassù, col collo spelacchiato a guardarti dall’alto in basso. E te li immagini a ridacchiarti alle spalle mentre arranchi.

Grifoni in volo

Ma andiamo con ordine.
Che ci fanno quegli uccelli, quasi mitologici, protagonisti di fiabe e leggende che risalgono all’infanzia dell’umanità, a Pian dell’Alpe?
Apprendiamo dalla stampa che qualche settimana prima un gregge di pecore è stato condotto alle pendici del Monte Ciantiplagna, sopra Pian dell’Alpe, per trascorrervi l’estate; e lì lasciato, senza pastore, reti elettrificate e cani, i maremmani. Perché le pecore sono animali docili.
Peccato che il Ciantiplagna sia anche la casa del lupo, che in questa stagione ha i piccoli e quindi maggiori esigenze alimentari; così nella prima notte s’è fatto vivo lui, catturando un certo numero di ovini e provocando la morte di parecchi altri per caduta durante la disordinata fuga notturna.
Il giorno dopo la scena deve essere apparsa particolarmente invitante al primo grifone giunto sul posto.
Come ha fatto ad arrivarci? Questi uccelli compiono senza sforzo centinaia di chilometri al giorno alla ricerca di carcasse di animali; perché i grifoni, come tutti gli avvoltoi, raccolgono quel che gli altri non vogliono, i morti, facendo pulizia.
Passano, non c’è nulla, e se ne vanno; e siccome noi non stiamo tutto il giorno col naso per aria, non ci accorgiamo di niente.
Se il pranzo è servito, invece, scendono e gli fanno onore, svolgendo tra l’altro un’importante opera di sanificazione, si direbbe oggi. E rimangono in zona fino a quando c’è un ossicino.
Il mistero però rimane.
Come hanno fatto a sapere velocemente tutti della mensa imbandita sulle pendici del Ciantiplagna?
Evidentemente comunicano, avranno un loro telefono, certamente un loro linguaggio o, semplicemente, vedendo uno del gruppo col gozzo pieno, lo seguono e scoprono la cuccagna. C’è n’è per tutti e a nessuno viene in mente di litigare, di raccogliere più bottino e metterlo magari in una loro particolare banca.
Che civili i grifoni.

Il lupo – foto B. Castelli

Un ultimo pensiero va al lupo. E pure ai nostri modi di fare.
Dagli, dagli al lupo che uccide le pecore, che impedisce il lavoro e ostacola il progresso. Ci par di sentirlo lo strepito. Quello stesso che anni prima urlava ai caprioli e ai cervi che distruggevano gli alberi e le foreste e ci pareva già di vederla tutta pelata, la nostra valle. Poi il lupo ha riportato a più mite e congruo numero cervi e caprioli e le foreste si sono salvate. A disposizione di chi le rade al suolo per farne quattro soldi.
O ‘trenta denari’ (Matteo 26,14-16), se preferite.
E non se n’è più parlato.
Noi comunichiamo benissimo, ci capiamo senza guardarci lo stomaco, di giorno e di notte, sulla terra e nello spazio, compreso quello più profondo. Quanto a buon senso però, anche comune senso del pudore, semplicemente, ci si lasci dire, siamo un po’ carenti.
Speriamo che i grifoni restino un po’ di tempo a Pian dell’Alpe.
Chissà che non ci riesca di imparare qualcosa.

Grifone su prati