Forme d’argento

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Se dall’Alpe Balma Superiore segui il rio, arrivi al Lago di Rocca Rossa. Proseguendo, ecco un altro laghetto; stagionale, ma bello pure lui. E sul fango, le impronte del lupo.
Questo luogo è speciale. Lo senti.
Ancora oltre una barriera orizzontale lascia indovinare un altro specchio. Fatica a salire e… niente. Un’altra barriera più in alto. Altra fatica con le gambe a protestare e nulla. Succede. È difficile fare i cacciatori di laghi. Bisognerebbe essere fatine. Ma tutto quel correre e salire e sbuffare è stato osservato. Te ne accorgi che non sei solo, ma pensi di sbagliare. Poi scopri che qua e là delle forme d’argento ti stanno a guardare. Sono soltanto larici secchi, ti dici; cioè morti. Ma intanto li vai a vedere. E ti accorgi che hanno sembianze non di legno, di legno morto, ma di vivente. Hanno ancora il movimento scolpito nelle fibre; si sono fermati di colpo quando li hai visti, ma quei tronchi e quei rami sono vivi, tesi contro il cielo o le nuvole o la nebbia che sale lesta.
Guardi via, e quando ancora volgi gli occhi, ecco che hanno altre forme, non si sono mossi ma non sono più gli stessi. Sono fatati, quei tronchi eterni: messi lì a guardare chi passa e a leggergli nel cuore.
Forse è in quei tronchi che stanno gli gnomi della montagna: e difatti, se osservi meglio, quel legno levigato un’espressione ce l’ha.
Di bellezza, e di libertà.