In attesa di quel giorno

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Il Forte del Gran Seren
Il Forte del Gran Seren

Da lontano, cioè da sotto perché è da lì che vi si arriva, il Forte del Gran Seren appare come un lungo muro di pietra, adagiato parallelo all’orizzonte quasi a voler tenere su la cima della montagna.
Un lungo muro perfetto, con gli spigoli ai lati inclinati formati da pietre enormi squadrate e intrecciate. Man mano che ci si avvicina, e il cammino è lungo e sembra che il forte si allontani da te alla tua stessa velocità, il grande muro diventa meno appariscente e altri particolari fanno la comparsa.
Mucchi di pietre squadrate, sistemate geometricamente perfette, senza apparente motivo distribuiti sulla la cresta tra la Val Chisone e la Val Susa, giusto sopra il Colle dell’Assietta; ti costringono a tenere il capo arcuato all’indietro per osservarli.
Continui a camminare lungo la strada sterrata che giunge dalla Caserma sopra il Lago Grande del Gran Seren e, piano piano, infine ci sei dentro. Due possenti pietroni, la base dei pilastri che costituivano gli accessi del forte, dicono che stai entrando nella fortezza. Una lunga fila di celle, a lato, tutte di pietra, fanno pensare a stalle per i muli; erano loro, assieme agli Alpini, che portavano fin lassù il materiale da costruzione: calce e mattoni, ferri e legname. A monte la porta è ancora difesa dalle feritoie dietro le quali stavano i militari con le armi. Feritoie in pietra scolpite perfette.
Quanto erano bravi con lo scalpello, e forse amavano più quel lavoro che imbracciare un fucile o stare dietro a un mortaio.
Ma la vera meraviglia del forte non è questa.
La meraviglia vera è sotto terra, nascosta così bene da impedire alla mente di immaginare quanto sia bella.
Un portale con arco in pietre enormi ne è l’accesso. Incute timore varcare quella soglia, ma la curiosità è vincente. Si procede lentamente tastando il terreno con i piedi e un po’ alla volta gli occhi si abituano al buio. Lunghe gallerie di mattoni, ramificate come fronde d’albero, s’offrono alla vista, svelando forme e percorsi inattesi. Migliaia e migliaia di mattoni portati lì a dorso di mulo, messi su a volta con un po’ di calce e tanta arte; sistemati così bene da tener testa al tempo, e pure ai vandali, che sempre si scatenano su queste reliquie della storia, dimenticate e abbandonate, ripudiate.
Perché a volte la mia gente non manca soltanto di testa, ma anche di cuore.
In una nicchia ha messo su casa un gracchio, che a differenza degli umani, apprezza quelle rovine, tanto da farci nascere i suoi piccoli.
Ogni tanto si apre a lato una stanza; si capisce che c’era un assito per pavimento, a isolare dal freddo e a dare un minimo di conforto a chi doveva stare in quelle cantine profonde. Ci sono soltanto più le basi del pavimento, niente legno: chissà quando l’hanno trafugato.
Passo dopo passo si giunge con sorpresa in una grande sala con sembianze d’altro mondo, perché il sole, entrando non si comprende come, traccia forme e aloni di luce che affascinano l’occhio e incatenano la mente a osservare senza capire. Doveva essere uno dei cuori pulsanti del forte quella sala, aperta su una fila di finestrelle piccole e di feritoie alte e strette che guardano un muro fitto di pietre eretto lì davanti, a pochi metri.

Il Forte del Gran Seren
Il Forte del Gran Seren

Quando si torna al sole e si sale in cresta, si capisce che quel muro era la parete d’una sorta di fossato. Il nemico non doveva giungere fin lì, perché l’avrebbero fermato prima i cannoni, ma se mai vi fosse giunto, allora sarebbe stata carneficina. Raccapriccia la mente osservare, dopo esserci stati dentro, quella fossa terribile pensata per mietere vite e far trionfare la morte.
I cannoni erano in alto, con attorno un paesaggio di magia, alto sulle montagne e sulle nuvole, a far loro da cornice; su piazzole rotonde che oggi appena si leggono a terra. Vicino una fila di ripari, forse casematte, tutte senza porte, i pavimenti divelti, a conservare gli unici arredi che è impossibile asportare, e che soprattutto non hanno valore venale.
In una qualcuno ha eretto una cappella alla Madonna, con tanto di targa degli autori e altare presso il muro in fondo. Per contrastare con un segno d’amore un luogo splendido ma pensato per far gioire la morte? Oppure perché gli integralismi spingono a ritenersi in diritto di fare qualsiasi cosa in nome del proprio credo incuranti di quello altrui? Perché spingono a ritenersi in diritto di ignorare che i segni della storia vanno rispettati sempre?
La visita alle antiche pietre e ai mattoni intrecciati a labirinto sotto terra dura molto, così da dare tempo al sole di correre tanto nel cielo, e assieme a lui il ricordo, l’immaginazione e la riflessione.
Che bravi gli Alpini autori di tanta meraviglia architettonica, è il pensiero dominante.
Ma allontanandosi da quel luogo intriso di storia e sofferenze, e pure di fortuna, perché quei cannoni non han mai sparato un colpo, un altro pensiero si fa strada, amaro e pesante, quasi disperante.
In quanti altri paesi al mondo si lascerebbe alla malora una meraviglia simile? In una valle che da poco è stata olimpica e dov’è uso riempirsi la bocca di fatue parole inneggianti al turismo?

Sul Forte del Gran Seren il sole splende sempre a lungo, anche negli inverni più duri. Un buon presagio. Chissà che la sua tenacia, come quella degli Alpini che quei muri hanno eretto, non riesca alfine a vincere?
Chissà che non giunga un giorno in cui, anche alle genti normali, senza rischio di cadere in qualche buca e senza paura del buio che attanaglia il cuore quando ci si avventura sotto terra senza luce, sia concesso visitare gallerie e muri, sale e stanze dai pavimenti divelti, nicchie e pure cappelle mariane abusive ed avventizie, per conoscere un pezzetto del proprio passato?
Sarebbe un giorno bellissimo.

Dal Forte del Gran Seren
Dal Forte del Gran Seren

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