Crosetto

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Una macina
Una macina

Crosetto è un villaggio di Prali, Val Germanasca, posto su in alto, lontano dalle sculture che in quella terra hanno praticato le acque e i ghiacci. Terra da talco, lì giunto assieme alle pietre del mare in quantità e qualità, nel bene e nel male. Terra quasi dolce, quella di Crosetto, anche se non baciata dal sole come il villaggio di Fontane che sorride sull’altra sponda della valle. Terra di pace e silenzio, forse perché il benvenuto a chi giunge lo dà il cimitero, esposto eppur raccolto, a non farsi notare, a fianco di due vecchie case che lo sorvegliano e hanno mantenuto il volto d’un tempo.
Terra all’apparenza, dolce, ché appena oltre le case, verso lo sbocco della valle, s’apre un precipizio da togliere il fiato, da gelare l’animo, al quale i piedi rifiutano di avvicinarsi.
Terra bella, e Crosetto vi pare adagiato, mollemente, nella quiete e nel silenzio di tardo autunno che regnano sovrani.
Non ha strade principali. Le case sono aggrovigliate tra loro, e sembrano allungate soltanto da lontano, dall’altro lato delle valle o dall’orlo del precipizio: ma è un’illusione. Sono avvolte tra loro, in questo insolito tiepido mese di novembre, a difendersi dal freddo e dalla neve che verranno.
Case in pietra e legno impreziosite da blocchi di marmo che, qua e là, punteggiano di candore inatteso le viuzze strettissime. Marmo delle vicine cave di Rocca Bianca, ché la terra di Crosetto non poggia soltanto sul talco che la valle intera ha reso famosa, ma pure sul marmo.
Villaggio di minatori, allora, Crosetto. Ecco ogni tanto qualche elemento di miniera: un tratto di rotaia, un ferro, una lamiera.
Tutta la valle era di minatori, perché tutta la valle, per quanto da Crosetto si vede, era fatta di talco.
L’hanno tirato fuori dalla terra per tantissimi anni, con tenacia, fatica immane e dolore: per un pezzo di pane ai figli, pane più facile di quello che per tempo ancor maggiore gli uomini di Crosetto avevano ricavato dalla terra, ma coltivandola e non bucandola.
Non si può dire quale dei modi fosse migliore, non è ancora tempo. Oggi si può soltanto osservare, non giudicare.

Mura inconsuete
Mura inconsuete

Un villaggio muto. Nessuno lo anima per tutto l’anno. Ma in tanti lo amano: si vede da piccoli segni, dalle tendine di qualche casa, dai libri posti su tavoli spogli che scrutano sulla via da dietro vetri impastati di polvere, dal colore sfacciato ma gioioso di mura inconsuete, da un angolo per lo studio curato di certo per un bambino, che vive altrove ma che potrebbe tornare.
Pure l’acqua è amica delle vecchie case dei minatori, e per loro canta senza fermarsi: voce tenue la sua, e discreta, ma eterna. Come può esserlo un villaggio assopito quando qualcuno ne tiene vivo il ricordo; rimasto nei legni, oltre che nella terra; il ricordo di antiche mani, scolpito negli infissi, nelle ringhiere e nei gradini di scale severe alle gambe, nelle serrature e nei chiavistelli delle porte, grandi e piccole, a custodia del cuore delle case.

La fontana e il 'bacias'
La fontana e il ‘bacias’

Intanto il sole dell’inverno incipiente corre veloce e basso nel cielo, quasi a piallare l’orlo delle creste di roccia. Corre sulle case e sui campi, soltanto più in parte lavorati; corre ad allungare le ombre dei muri del cimitero sui prati.
Corre per lisciare e carezzare i ricordi.
Per preparare un altro giorno.

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