I 12 Apostoli

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Gli esperti parlano di formazioni calcaree frutto di erosione verificatasi nell’arco di milioni di anni.
Verosimile.
Le mia gente invece li chiama “I 12 Apostoli”.

Mi piace tantissimo questo nome.
Le rocce affusolate color crema chiaro, qualcuna appena un po’ di più sul grigio, che emergono dal ripido terreno, da lontano somigliano davvero a delle figure umane avvolte in lunghi mantelli. Poste a cerchio, come in consiglio. Certamente la loro presenza è inconsueta e non può sfuggire all’attenzione.
Se siano davvero 12 non l’ho mai verificato.
Perché quando arrivi lì, dopo ripidissima salita a spezzarti gambe e fiato, resti ammaliato dalla bellezza delle rocce, dalle loro forme, che tutto può venirti in mente tranne che far di conto.
Da vicino scopri che gli Apostoli sono divisi in due gruppi, e che altri due sono più in alto, più discosti. Saranno Apostoli anche loro, ti chiedi intanto che il fiato t’è tornato normale e osservi la lontana strada a picco sotto di te da dove sei partito, o saranno semplici passanti?

Uno degli Apostoli sembra avere un grande cappello. Lui è piccolino e il cappello enorme, appena posato sulla testa, un po’ inclinato avanti a riparare gli occhi dal sole che viaggia di fronte. Sembra debba cadere da un istante all’altro quel cappello, e un cuneo di pietra pare regolarne l’inclinazione. O tenerlo in modo strano. Non ci credi e vai più vicino, a vedere sotto altro angolo quella figura ferma. E il cappello cambia forma, è ben saldo ora, non temi più che il vento lo porti via.
Sollevato, ti avvicini ad altri gruppi. Il terreno è dritto tanto, l’erba insidiosa tende trappole a ogni passo, e nasconde delicate stelle alpine. Devono essere gli Apostoli a coltivarle, per averle vicine ad onore del cielo, e anche per passare il tempo, che deve essere ben monotono trascorre tutto l’anno lassù in alto, sia pure presso il cielo, a far consiglio.

Ti giri e, dalla nuova posizione, dell’Apostolo col cappello vedi solo più il cappello, e non pare neppure più tale: un grande sasso infisso al suolo somiglia ora, una gigantesca trottola; forse ci giocano gli Apostoli quando nessuno vede, pensi sorridendo. E intanto comprendi sempre più quanta meraviglia ti stia attorno.
Gli altri hanno forme più normali, i mantelli li avvolgono tutti e nessuno ha cappello. O se ce l’aveva gliel’ha davvero preso il vento. Qualcuno è più magro e slanciato verso l’alto, qualcun altro è un po’ più grasso; qualcuno è solo tutto solo, qualcun altro è affiancato e si appoggia a un compagno: forse è più anziano.

Nessuno profferisce verbo e se stai zitto tutto e fermo, cogli soltanto le voci del vento, quelle noiose di lontani cani, il frullo di qualche uccello. Forse tra di loro parlano in silenzio, pensi, e tu che sei sempre immerso nel frastuono non conosci quella lingua.
C’è pure un gheppio in mezzo agli Apostoli, forse è nato proprio lì, su quelle rocce a picco. Forse mentre accudivano le stelle alpine l’hanno allevato gli Apostoli, per poi vederne le evoluzioni nel vento e ingannare il tempo, che deve essere ben monotono trascorre tutto l’anno lassù in alto, sia pure presso il cielo, a far consiglio.
Intanto passa il tuo, di tempo, e senza accorgertene li hai visitati tutti, andando e tornando, salendo e scendendo ancora, per vederli bene, per sentirli più vicini; per coglierne l’odore, che devono pur averne uno.
E ci sei pure salito sopra, a qualcuno, ma nessuna vibrazione t’è giunta al piede. Perché hai fatto piano e con rispetto; forse lui dormiva e non t’ha sentito, sei stato attento a non graffiare l’erba che lo copre, e per questo non s’è scosso.
Sognare a occhi aperti in mezzo agli Apostoli è bellissimo e carezza il cuore, ma è finito il tempo.
È ora di tornare.
Perché, forse, sarebbe monotono trascorre tutto l’anno lassù in alto, sia pure presso il cielo, a far consiglio con gli Apostoli.

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