Fuoco

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Tra tutte le meraviglie è quella più meravigliosa.
Dalla notte dei tempi, quando, unico, squarciava le tenebre.
La più meravigliosa, perché ha dato, assieme alla luce, calore all’uomo; per difenderlo dal freddo di notti che l’avrebbero ucciso; perché l’ha asciugato e pure rincuorato quand’era solo; perché ha reso allettanti i suoi pasti.
Parliamo del fuoco.
Per millenni l’uomo l’ha venerato e ammirato, quale essenza divina d’ignota origine, e rispettato, senza riuscire a domarlo, senza riuscire a comandarlo. Per secoli è stato elemento di purezza.
Poi il fuoco fu dell’uomo, nella notte dei tempi, al tempo dei padri dei nostri padri dei nostri padri.
L’uomo lo fece suo e non lo considerò più divino.
Il fuoco, che fin lì aveva dato vita – e pure distruzione, ma mai causato male voluto – divenne un’arma; per distruggere villaggi, raccolti, sorrisi, speranze.
Un’arma per distruggere popoli. Un’arma per soggiogare altre genti, più piccole, meno fortunate, o più miti.
Un’arma per fare male.
Tutto questo fu ed è il fuoco, col fascino che esercita sull’uomo, il suo magnetismo, in suo irresistibile richiamo.
Il fuoco, se lo fissate, nel caminetto domestico come in un rustico focolare di pietre all’aperto – quello degli antichi – vi acchiappa gli occhi; se lo osservate e lo guardate di notte vi ipnotizza, tanto è bello e vivo, e vi chiedete se davvero non abbia un’anima e se ce l’abbia quale sia.
Oggi sappiamo tutto sul fuoco ma se lo affrontiamo vince ancora lui, e possiamo soltanto distogliere gli occhi se non vogliamo essere presi da tanta meraviglia, tanto che sia di vita, tanto che la vita voglia spezzare.
Anche per questo l’uomo ha voluto farlo suo e ancora lo vuole comandare e usare, scatenare; perché sa d’essere più piccolo e più debole e dominarlo lo illude d’essere più forte. Come il cacciatore nei confronti dell’animale più veloce di lui, o di quello che con il volo, o con il nuoto, può andare in luoghi a lui vietati.
Nell’uomo senza sentimenti e senz’anima tutto questo si fa gigante. Non riesce ad ammirare e amare, soltanto, il fuoco. Forse perché non conosce l’amore. L’uomo senz’anima vuole farlo suo il fuoco, vuole che esegua i suoi ordini, lo vuole distruttore. Perché, nemmeno lui probabilmente sa.

Queste riflessioni si sono accumulate disordinate e feroci nella nostra mente a farci male, in queste settimane di incendi nelle valli; ad obbligarci a pensare, per capire dove anche noi pur dobbiamo aver sbagliato.
Non sono venute dal cielo le fiamme.
Le ha scatenate l’uomo, quello senza cuore e sentimenti, uomo non uomo, che del fuoco non può comprendere l’anima. Ha voluto sentirsi grande, potente, importante. Onnipotente.
Oppure ha pensato al denaro, alla ricchezza provvisoria dei pascoli, degli alberi da trasformare in legna o energia, al lavoro per ripiantarli; ha pensato agli animali spaventati e cacciati prima che l’indolente legge lo vietasse. Non ha pensato alla bellezza persa per decenni, al furto di bello perpetrato nei confronti delle immediate prossime generazioni, non ha pensato al disseto che colpirà la terra non più protetta dalle piante e dall’erba.
Certamente tutto rinascerà, e probabilmente sarà ancora più bello. Ma adesso il nero che copre le montagne sa di morte. La neve lenirà il dolore, ma la prossima primavera e quelle dopo, per lungo tempo, mostreranno i segni delle ferite.
Inferte dall’uomo senz’anima.

Maledette le mani blasfeme che hanno martoriato la mia Terra.

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