Il forno di Grô Pasét

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La ricordate la prima neve di questo inverno? E quella di fine novembre che ci colse un po’ tutti di sorpresa nonostante le segnalazioni dei vari bollettini meteorologici?
La prima neve del nuovo inverno possiede sempre una magia particolare.
In una giornata che ancora era nuvolosa decisi di salire a “Lou Grô Pasét”, villaggio posto sulla sinistra orografica del Vallone di Massello.
Lasciata l’auto nei pressi della località Mulino, mi incamminai verso questo paesino dove in agosto avevo partecipato all’inaugurazione del forno di borgata, rimesso a nuovo grazie all’impegno della comunità locale. Era stata una bellissima festa che sapeva di gioia, di armonia, di partecipazione e di impegno. Ora ero curiosa di visitare questo piccolo villaggio, visibile da quasi tutta la valle, nel silenzio delle case che non accolgono più coloro che in estate qui ritornano per le vacanze e soprattutto volevo cogliere, senza fare domande, le motivazioni di quei pochi che ancora tenacemente lì abitano.
Dal grigio del cielo intanto iniziarono a scendere piccoli fiocchi radi che incuriosirono anche le caprette al caldo nella stalla della frazione Reynaud. I fiocchi divennero più copiosi quando raggiunsi il Grôs Pasét.
Fra le case del borgo con il sentiero in salita regnava un silenzio che sapeva di pace, privo di malinconia o di inquietudine. Anche il forno era racchiuso in questa assenza di rumori ove pareva sentirsi il suono della leggera nevicata, dei rami degli alberi vicini che crocchiavano nell’umidità. In un cesto erano posate delle noci, segno di una discreta presenza umana e di fronte a me, verso il basso, il vallone di Massello che si apriva allo sguardo.
Il paese non aveva l’aspetto di quei villaggi di fantasia dove tutto è legno e pietra ordinata ma rivelava angoli di strana bellezza che nascono dal caotico organizzare gli spazi per renderli vivibili. Si salivano e si scendevano gradini, si scrutavano panorami, si posava un piede sulla pietra e uno sul cemento. In alto la scuoletta Beckwith che riportò il pensiero alla dignità di un popolo che seppe cogliere nell’istruzione il valore della conoscenza.
Capii in quel momento ciò che rende accettabile la vita qui: la consapevolezza di appartenere a una terra, di conoscerne i segreti e di sapervi cogliere la bellezza di una pietra, di un noce, di un abete che raccoglie sugli aghi una coltre bianca che sarà acqua per dissetare, di un canto tramandato da secoli, del silenzio che dà ristoro alle nostre menti ferite dal fragore di troppo inutile rumore.
(C. Reymondo)

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