Non serve capire tutto

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È noto come gli animali siano imprevedibili. Lo sappiamo bene. Riescono spesso a stupirci. Perché hanno una loro personalità specifica, un proprio modo di comportarsi, agire, reagire; varia da individuo a individuo nell’ambito della stessa specie. Niente di strano, a pensarci bene, e tuttavia questo ci sorprende perché siamo tarati dall’incorreggibile vizio di considerare gli animali inferiori a noi. Perché siamo convinti che tutto e tutti debbano agire secondo i nostri canoni e soprattutto le nostre idee, credenze, opinioni. Come non potesse esistere un diverso modo di sviluppare la vita. Siamo certi di sapere tutto.
Per fortuna non è così.
Sentite.
Il sentiero, una vecchia strada militare abbandonata da decenni alla montagna che l’ha ristretta e accidentata con slavine e frane, corre in salita con praterie sotto e altre sopra, su fino alle rocce a picco che s’avviano a toccare il cielo.
Non ti aspetti nulla in quei luoghi, nessun incontro ravvicinato, scoperto come sei, chè tutti, uccelli e mammiferi, ti vedono ore prima che tu scopra loro. Al più soltanto qualche aquila di passaggio può mostrarsi, o qualche camoscio indolente che scruta con commiserazione la tua fatica dall’alto delle rocce.
E sbagli, perché attribuisci agli animali i tuoi modi di fare e pensare.
A lato sentiero, in quella che sembra essere una cunetta coperta d’erba, immobile, ecco una marmotta. Lì, di fianco a te, a non più di due metri. Ti scruta. Ti radiografa, ti conta i capelli che hai in testa se non porti cappello.
Animale comune, la marmotta, onnipresente, soprattutto in voce: senza di lei la montagna nella bella stagione sembrerebbe muta. Ma non è mai così vicina. Al più, alcune decine di metri ti dividono da lei, e in genere la scopri in fuga, un attimo prima che scompaia nella tana.
Questa no. Sembra sfidarti.
Allora comincia la ridda delle ipotesi.
Che sia malata? Che sia fortunosamente sfuggita agli artigli dell’aquila o ai denti della volpe? In effetti ha un strano segno sulla schiena, ma nessuna ferita, nessuna traccia di sangue. Che sia caduta? Ma come, in quel luogo dove ci sono soltanto praterie, ripidissime, ma pur sempre praterie. Ti arrovelli e non concludi nulla.
Ti avvicini ancora un po’. Sei vicinissimo, potresti essere tentato di fare ancora un passo, lentissimo, per toccarla, per carezzarla. Non una piega, non una vibrazione, non un pelo che si muova. Sembra imbalsamata. Soltanto, gli occhi sono lucenti: è viva.
Poi pensi che hai avuto una gran fortuna, che quella marmotta che tu certamente hai sorpreso e terrorizzato, ti si è già offerta molto. Ti ha regalato una grande gioia. Pensi che non hai diritto di spingerti oltre, capisci infine che è giusto toglierti ringraziando e proseguire oltre.
‘Ciao marmotta, grazie’, sussurri col cuore.
Volgi lo sguardo a monte e ti avvii. Pochi passi e un rumore secco e improvviso, un raspare d’unghie sulla terra e sulle pietre ti fa voltare di scatto. Appena in tempo per vedere la marmotta scomparire nella sua tana che non avevi scorto, nella cunetta, pochi metri a valle. È scattata come un fulmine.
Non scoprirai mai il perché di quell’incontro ravvicinato. Così strano, tanto eccezionale.
Per fortuna, da un po’ di tempo, hai ‘scoperto’ che non è necessario capire tutto; che spesso basta lasciarsi vivere, con semplicità.

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