‘Putagè’

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Sicuramente il suo posto lo tiene tutto.
Scuro, massiccio, con le maniglie d’ottone lucide, troneggia al centro della cucina.
Ci ha messo un po’ di tempo ad arrivare fin lì, una volta era contro il muro della cucina, vicino alla finestra.
Poi ha cambiato vestito, da bianca termocucina smaltata, è diventata seria e scura, un po’ più grande, ha perso i tubi del riscaldamento che la collegavano come un cordone ombelicale alla casa e s’è girata di fianco a racchiudere una parte della stanza dedicata a cucina.
Ed infine, oplà! s’è spostata al centro, padrona indiscussa della stanza, ormai dedicata completamente a cucina e che, d’altronde, ha il compito invernale di scaldare completamente.
Tiene tiepide anche le stanze da letto che si trovano al piano superiore e il suo bollitore, sempre caldo assicura il tè del mattino, la tisana della sera ed il conforto della bottiglia dell’acqua calda per il letto dei freddolosi.
Presenterò meglio la mia stufa, conosciuta col nome di putagè nell’area franco-piemontese.
Alta circa 70 cm, è costituita da una piastra radiante di ghisa con intagliati al centro dei cerchi concentrici che una volta servivano per infilare le pentole più vicine al fuoco, annerendo brutalmente il fondo esterno.
Da un angolo della piastra parte un sistema di tubi (i canùn ) incastrati uno nell’altro che serve a convogliare il fumo fino alla canna fumaria. Quando il loro percorso è un po’ più lungo contribuiscono anche a scaldare la stanza.
Il primo canùn d’la stüa diritto, circa a metà altezza può essere cinta da un anello che fa da sostegno ad una raggiera di bacchette.
Queste possono essere estese e servono a mettere ad asciugare i canovacci da cucina, ma un tempo avevano una funzione ben più importante: lì venivano appesi a scaldarsi gli abiti dei bambini.
Il mattino presto la mamma aveva cura di stenderli lì perché i citu li trovassero caldi scendendo dalle gelide camere da letto, dove l’unico elemento tiepido era il fra o preive, cioè lo scaldino per il letto con all’interno la brace ardente.
Alcune stufe più vecchie, più basse, molto diffuse nei nostri paesi di montagna, erano tutte in ghisa, con delle corte e ricurve gambette rococò ed erano anche conosciute come crin-e (maialette)
In altre case la piastra superiore invece veniva appoggiata su una struttura in muratura refrattaria fissa, con sportelli di ghisa.
Ricordo ancora di avere visto in funzione delle stufe così a Bovile negli anni ‘80.
Sino all’avvento delle cucine a gas (il Pibigas!), soprattutto nelle campagne, era la cucina più diffusa e popolare, e poteva persino trasformarsi in una cucina da campo, come ha documentato in una foto Tino Petrelli, al tempo dell’alluvione del Polesine nel 1951, dove una donna cucina sull’argine del Po straripato.
In casa nostra c’è sempre stata, sin dai tempi dei miei ricordi di ragazzino, ed oggi è diventata il punto centrale della cucina in inverno.
D’estate, quando si vive fuori, il putagè serve da tavolo d’appoggio, ci puoi mettere anche le pentole calde, tanto non si rovina.
A maggio i tubi sono stati smontati, puliti ed accantonati nel ripostiglio ed il buco che rimane serve da portavasi.
Presto o tardi l’autunno s’insinua e, la sera, le giornate si accorciano, l’aria diventa fresca, una volta calato il sole e fa piacere “dare un giro di stufa”, rompere l’umidità.
Il giorno che si rimontano i tubi si ha la percezione tangibile del cambio di stagione.
Il punto di forza però del putagè deriva dal poterci cucinare sopra con i fujòt, le pentole di terracotta, mentre il forno si può usare come un normale forno da cucina, dove però è molto più facile bruciare la roba, dimenticandola dentro.
Al contrario sulla piastra è più difficile, perché se si va via e si lascia la roba incustodita, non si aggiunge più legna e la temperatura diminuisce, diminuendo nello stesso tempo il rischio di bruciare…
Nel forno invece il contenuto non si vede così chiaramente e si continua a mettere legna, salvo poi passare direttamente i pezzi carbonizzati dal forno al focolare!
Ma la sua vera mission, come direbbero i manager di oggi, è di fornire il supporto alle frenesie culinarie dei padroni.
La piastra calda di una stufa è un’istigazione a cucinare: potreste dire lo stesso di un fornello a gas?
(M. Medaglia)