Il vecchio e l’ombrello

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Da qualche decennio in Val Chisone, da Roure a Pragelato in particolare, ha messo radici l’abitudine di abbellire le strade dei centri storici con splendidi dipinti, noi diremmo affreschi; tutti li chiamano murales.
Occupano facciate di case o muri privi di aperture, e se queste ci sono, si accontentano di superfici più piccole; a volte inglobando particolari architettonici mostrandoli sotto una luce diversa da quella loro originaria, più accattivante, più bella.
Non ricordiamo dove siano sorti prima, se a Roure o a Usseaux, e ci scusiamo con gli interessati per l’imprecisione, ma da quelle terre sono partiti.
Illustrano la vita quotidiana, il lavoro, agricolo o in miniera; le persone, giovani e vecchi, con gli abiti di una volta come se il tempo su quei muri si fosse fermato.
Nostalgia? Forse. O magari ricordo, per capire la storia, per capire la terra di cui siamo figli.
Difficile, e ingiusto perché soggettivo, dire quali i più belli.
Certo la fanciulla con accanto il gatto ad Usseuax lascia incantati, come l’immagine di Denise Belleard nel 1941. O le scene di miniera di Roure, con le fatiche del trasporto a valle del talco estratto.
Facciamo eccezione per uno, a Villaretto, sul lato sinistro della strada 23 per chi scende.
Facciamo eccezione perché quel dipinto, oltre a raccontare il passato, esprime una filosofia, una religione di vita appoggiata al tempo del sole. Che prevede anche la pioggia e dunque il riposo, i tempi lenti.
Grande, verticale per la disperazione di chi fotografa, firmato p. Figus.
Un vecchio guarda lontano. La pioggia è caduta per più giorni fino a poco prima. Meglio tenere a portata di mano l’ombrello, caso mai ricominciasse.
Si capisce che quel vecchio è rimasto in casa all’asciutto a lungo, ed ora esce a sgranchirsi, a respirare un po’ d’aria fresca che sa di larice. A carpire alle nuvole il segreto del tempo di domani.
Forse attende qualcuno.
Non si vedono i lineamenti del volto, dunque rappresenta ognuno.
Non ha fretta il vecchio. Anche il cane lo sa, e aspetta paziente, non accovacciato ma seduto, attento, pronto all’azione dovesse muovere il padrone, l’amico.
Toppe nei pantaloni e gilè – fa ancora caldo – cappello a coprire l’incipiente calvizie.
Il vecchio osserva, attende.
Forse qualcuno.
È appoggiato all’ombrello, chiuso. Si puntella con delicatezza. Perché l’ombrello potrebbe cedere e gli ombrelli sono fatti per durare, non per essere rotti, buttati e sostituiti.
E se proprio si rompesse, lo si farebbe riparare. Servirebbe ancora per molti anni.
Per molte altre piogge.
Intanto il tempo corre, e il murales lo racconta; fermandolo il tempo, non per un istante, ma per un po’, perché si possa capire, perché si possa respirare: il tempo e l’aria che sa di larice.
Correre col tempo è facile. Il difficile è fermarlo.