La firma del ‘vermaccio’

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Vanessa dell’ortica

Può sembrare strano parlare di farfalle in questa stagione ancora fredda; è in estate che colorano di leggerezza quanto ci circonda, non adesso.
Lo facciamo per via del verme che non molla. Per esorcizzarlo, per combatterlo, lui che immaginiamo così brutto, con la bellezza pura.
Può sembrare strano, dicevamo, parlare di farfalle adesso. In realtà anche in questa stagione volano in molte, secondo schemi diversi, abitudini particolari e modi tipici di ciascuna specie.
Alcune hanno superato l’inverno sotto forma di crisalide e ai primi tepori sono schiuse nel loro splendore. Si notano, hanno ali nuove e colori brillanti.
Quelle che il freddo l’hanno superato da adulte – a gennaio bastava una giornata tiepida per farle sfrecciare, la cedronella, Gonepteryx rhamni, su tutte – le ali a volte le hanno un po’ ammaccate; ma bisogna capirle, ne hanno passate davvero tante per mostrarsi al nuovo sole.
Le incontriamo nelle situazioni più disparate. Sulle foglie secche, spesso, sulle pietre a raccogliere un po’ di calore, tra la neve addirittura. Su qualche primula.
Tutte assieme fanno una meraviglia, una meravigliosa meraviglia.
Come la vanessa C bianca, Polygonia c-album, dalle ali sagomate tanto da sembrare a brandelli, arancio invisibile a terra sui colori ancora invernali; ha un minuscolo segno bianco a forma di C sulla faccia inferiore delle ali posteriori, da cui il nome.
Di rado le vediamo sui fiori, come compete a una farfalla nel nostro immaginario, perché i fiori sono rari; alcuni inadatti: sui crocus non ci è mai successo di osservare una farfalla.
Le farfalle rappresentano un indice particolarmente sensibile di biodiversità. Più sono le specie e più l’ambiente che le ospita è in salute; meno sono e più è povero, a volte malato.
Negli ultimi anni le stagioni mutate, troppo calde in inverno, troppo fredde in primavera, troppo piovose o eccessivamente secche, hanno falcidiato alcune specie. Il resto l’abbiamo fatto noi, con antiparassitari e diserbanti, con l’asfalto e con il cemento, o con il nostro maniacale attaccamento al prato inglese, dove tutto è uguale, rasato e rapato e non c’è nulla per nutrirsi.
Bisogna ricordare che le larve delle farfalle, i bruchi, si nutrono di vegetali. Ciascuna specie ha la sua pianta, nutrice si dice: su quella e soltanto su quella le femmine depongono le uova, e senza di lei la farfalla scompare in brevissimo tempo. Nel prato inglese non c’è niente.
Le vanesse ad esempio amano le ortiche, che noi detestiamo e dunque estirpiamo. Dovremmo pensarci che togliere un’ortica è come uccidere una farfalla. Ricordando che, tutto sommato, al mondo c’è spazio per noi, per le ortiche e per le farfalle. E che un mondo senza farfalle sarebbe davvero triste.
Riflessioni. Riflessioni nostalgiche, di quando le farfalle erano ovunque e nessuno, o ben pochi, sapeva che alcune erano legate alle ortiche; erano ovunque e non le vedevamo. Che ci fossero le farfalle ce ne accorgiamo adesso che non le vediamo più, o sono divenute rare.
Riflessioni di vecchi.
La perfezione magnifica dell’ambiente, la nostra casa, dipende dal benessere di ciascuno dei suoi elementi, dei suoi attori. Se uno soffre, soffrono tutti, in una reazione a catena che non risparmia nessuno.
Come un’epidemia. Come una pandemia.

Colias sp

Vuoi vedere che il vermaccio che ci perseguita e ci costringe chiusi lontano dalle ultime farfalle, ha a che vedere con questa reazione a catena?
Vuoi vedere che è soltanto l’ultima tessera, che abbiamo notato perché ci ha toccati in prima persona, di un mosaico che arriva da lontano, cominciato chissà quando e chissà dove, che sotto sotto porta la nostra firma?

Aurora

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