Dopo cento anni

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È lassù appena sotto la linea del cielo, la casermetta di Roca Bianca. Così lontana da sembrare un miraggio, una finta, uno scherzo. Vieni, sembra dire, vieni a salutarmi.
Ci sono due valli da superare, profonde, da scendere all’acqua e risalire per raggiungere quei muri, e la casermetta, come un miraggio, appare e scompare. E intanto che si sale il paesaggio cambia in un caleidoscopio d’acqua e boschi, di pietraie e praterie, di miande e bergerie. Aiutano ad andare, assieme agli animali che a turno si mostrano improvvisi e subito scompaiono, come la casermetta al girare del sentiero, come fantasmi dispettosi.
Eppure è tutto vero.
Infine eccola, la costruzione miraggio all’orizzonte, tutta rotta, preda di vento e gelo. Ancora bella. Ancora superba. Ma fatta di calcinacci cadenti, di travi annerite, di pezzi di stufa senza più odore di fumo, di intonaco con poche scritte: troppo lontano quel luogo per i graffitari. Costruzione di guerra, affacciata su una prateria incantata che mette assieme tutta la dolcezza che è mancata al suolo mentre tu salivi. Il cielo le ha messe tutte qui le curve tenere della terra. Com’è strano l’uomo. S’uccide di fatica per costruire opere grame; poi, quando potrebbe trasformarle in buone, le abbandona. Sciocco fino in fondo, oggi come quando ha eretto la casermetta. Cento anni inutili.