Piccolo Colle

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Colet, piccolo colle, è il nome di un villaggio di Bourcet che s’affaccia da una parte allo spazio protetto da Punta Midì a ovest e dall’Aquila a nord, e dall’altro alla Val Chisone, che da lì appare immensa. È un bel nome Colet, adatto a un piccolo villaggio. Ma è quasi tutto crollato e morto. Da tempo nessun umano vi dorme, o vi cucina un pasto, o stende un panno lavato di fresco al sole.
Eppure è bellissimo. Perché sa d’incanto. E terribile, se appena ti soffermi e rifletti su quel che ti dicono gli occhi.
Splendide lose preparate con maestria per coprire un tavolo o un letto, una casa: a terra, rotte, cadute da tetti arresi alla pioggia; e muri crepati che sembrano ancora sani, ma se giri l’angolo li scopri soli e impotenti a guardare il cielo, senza sostenere più nulla; poveri arredi, disegnati di muffa e di funghi, tavoli o armadi, fatti a mano con l’accetta, che sorreggono pietre anziché pane o piatti di minestra. Questo è oggi Colet.
E poi chiodi. Ovunque. Infissi impotenti in legni inermi: porte, travi, finestre. Chiodi battuti a mano, chiodi da croce, chiodi terribili.
Cristo, da queste parti, si sarà fermato a Roure, o a Perosa Argentina. Qui, di certo, non c’è mai stato.