Il Belvedere

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Il Belvedere di Villar Perosa
Il Belvedere di Villar Perosa

C’è un luogo, un angolo, tra Porte, Villar Perosa e la pianura, dove la terra è fatta tutta a dune, a piccole vette tonde senza rocce, coperte fittamente d’alberi, come di capelli il capo umano o di peli il corpo d’un mammifero.
Al curioso che s’aggira in quei luoghi può succedere di notare, da lontano, tra le piante, un rialzo, un terrapieno.
Il visitatore non ci crede, pensa d’essersi sbagliato, perché un terrapieno, un rialzo, in quei luoghi, è senza senso. Va a vedere e l’incredibile s’avvera. Non soltanto il rialzo c’è, ma in mezzo ci han messo una strana torre, e se aggiri quell’obelisco improvvisato, scopri che dal lato dove corre il sole vi han posato una statua, candida di marmo. Una donna con capelli al vento, forse una vittoria.
È il Belvedere. Antica meta delle genti quando s’andava a piedi sulle montagne di casa, perché le altre erano troppo lontane.
Il Belvedere era l’occasione per una scampagnata, magari con merenda. Cibo semplice: pane e salame, formaggio, frutta di stagione; acqua attinta alla sorgente preferita, e un pochetto di vino, locale, al più di San Secondo, da tenersi a un palo per poterlo sorseggiare.
All’estremo del piazzale, protetto da parapetto, tante panche in pietra, che la merenda è migliore se si consuma da seduti. Nessuno si portava il cuscino appresso. Naturale sedersi sulla pietra.
Epoca fascista, suggerisce la mente, epoca d’Agnelli podestà a Villar Perosa, epoca nera tutto attorno.
Però la statua non è brutta, e inattesa, una sorpresa. Una cosa bella, nell’intento di chi la eresse. A suo onore, certo, ma per tutti. Per gente che nella più parte una statua di marmo non l’aveva mai vista.
Una cosa bella per gli altri.
Tutto attorno il bosco era curato, che lo sguardo potesse volare, sulla valle sotto, su tetti noti e meno noti, sulla pianura. Lontano. Se no, che Belvedere sarebbe stato?
Alla sera, di ritorno a casa, si raccontava agli altri la giornata. Di quanto fosse bello quel luogo e di quanto vi spaziasse l’occhio; d’aver scorto la propria casa e pure quella dell’interlocutore.

Oggi delle panche restano soltanto i pilastrini, le lastre le han rubate. La merenda è avvolta in nylon, sigillata bene, omologata. Niente vino, fa villano; al suo posto liquidi con nomi strani, che i vecchi non sanno dire.
E più niente sguardo a volare all’orizzonte. Bosco fitto tutto attorno, d’alberi e indifferenza, a coprire i propri e gli altrui tetti.
Così il sole non ferisce gli occhi, e non fa rabbia se c’è nebbia.
Tanto nessuno sale più al Belvedere. Salvo qualche vecchio, che non sa ripetere le parole strane: non c’erano, quando viveva il Belvedere.
E con lui il vecchio e la mia vera gente tutta.

Il Belvedere di Villar Perosa
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