L’opera d’arte ‘sparata’

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Fine estate

La pernice bianca, Lagopus muta per chi ha studiato, ptarmigan per gli stranieri, non è un animale qualunque, un uccello dozzinale, un anonimo abitante delle montagne. No, la pernice bianca è un’opera d’arte della natura, e se non fosse che la grammatica ce lo vieta, scriveremmo maiuscolo il suo nome.
Lagopus, dal greco, significa piede di lepre, per via delle zampe coperte di piume. Muta invece si riferisce al canto del maschio, rauco e strozzato, che risuona in primavera nel silenzio delle pietraie d’alta quota.
Gli studiosi la definiscono, efficacemente e freddamente, relitto glaciale; e con il freddo, in effetti, ha a che fare.
Giunta alle nostre latitudini in occasione delle glaciazioni, al ritirarsi dei ghiacci la pernice bianca ha risalito le valli fermandosi alle quote più elevate, dove le temperature sono paragonabili a quelle delle ere glaciali. Non è l’unico caso nel regno animale e vegetale, ma quello della pernice, che cambia colore della livrea dall’estate all’inverno per meglio mimetizzarsi, è uno degli esempi più significativi, che lascia sbalorditi e meravigliati. Un animale raro minacciato seriamente di estinzione a causa dei cambiamenti climatici: non domani, già oggi. Una reliquia insomma, un tesoro, un’autentica opera d’arte.

Estate – foto Museo Civico di Lentate sul Seveso

Ebbene, da una settimana, nelle valli Chisone e Germanasca – come in tutto il Piemonte – si può sparare a questi uccelli. In queste valli, dove da anni era protetta, da una settimana si possono uccidere le pernici bianche. Legalmente. Basta la licenza di caccia.
Lo ha deciso la Regione Piemonte, accogliendo la richiesta del CaTo1 – Comparto di caccia alpino Torino 1 -, l’organizzazione territoriale dei cacciatori.
Funziona così: i cacciatori censiscono le pernici, le conteggiano e decidono, scientificamente si dice, quante se ne possono uccidere. Per consuetudine la Regione Piemonte avvalla.
Come dire che se le contano e se le sparano, ritenendo che ammazzarne un po’, su ‘tante’ che sono, non comprometta la sopravvivenza della specie. Senza pensieri agli eventuali conflitti di interesse.
È come se, titolari di opportuna licenza, si potesse entrare in un museo, di Roma, di Venezia o di Firenze, dove sono conservate numerose tele di Raffaello, o di Caravaggio, e siccome per fortuna ce ne sono parecchie, si decidesse che alcune si possono bruciare. Pagando, s’intende.

Inverno – foto F. Moglia

È pur vero che, per non sbagliare, ogni volta che si ammazza una pernice, lo si deve denunciare, in modo che, al raggiungimento della quota stabilita, non se ne uccidano altre.
Peccato però che in realtà, poiché come in qualsiasi gruppo anche tra i cacciatori ci sono delle persone disoneste, capiti a volte che tale denuncia venga omessa. Così il numero sale.
Non sappiamo quante pernici verranno ammazzate quest’anno.
Sapere però che un certo numero di questi preziosi uccelli, capaci di affrontare l’inverno ad alta quota senza tane né nidi, con scarsissimo cibo, nel vento a decine di gradi sotto zero con il pericolo costante d’essere predati dall’aquila, secondo quanto previsto dalle leggi naturali e dell’evoluzione, ci rattrista.
Pensare che un certo numero di pernici bianche non potrà questa primavera cambiarsi d’abito e far nuovamente risuonare il suo canto singolare e unico nel silenzio delle rocce, ci amareggia.
Le pernici bianche non appartengono ai cacciatori, e nemmeno alla Regione Piemonte. Appartengono a tutti e come tali non sono di nessuno, se non dell’ambiente alpino; e della Terra, che le ospita accanto a noi come compagne di viaggio.
Non abbiamo dubbi. Ammazzare pernici bianche in numero prefissato sarà pur legale, ma moralmente non è giusto. Proprio non è giusto.
Per una volta ci vergogniamo un po’ di essere piemontesi.

Penne di muta e orme

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