Può capitare…

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(Immagini di B. Castelli)
In una bella giornata di sole, andando per il mondo, abbiamo mille cose da guardare. Le strade e le case, i nostri simili, se siamo in città; gli alberi, l’erba e i sassi – per non inciampare – se ne siamo fuori, diciamo in campagna oppure in montagna. Mille cose da osservare, da ascoltare, da annusare, perché spesso gli odori e i profumi ci avvisano di quanto è sfuggito agli occhi e alle orecchie.
Non guardiamo mai il cielo, un po’ per non farci abbacinare dalla luce, e un po’ perché siamo davvero molto occupati a terra. D’altra parte siamo animali terrestri e non uccelli.
Capita così che sulle nostre teste succedano cose eccezionali senza che ce ne accorgiamo.
Gran peccato, ma nemmeno ce ne doliamo, tanto non lo sappiamo.
Salvo quando, per caso, gli occhi al cielo li alziamo e quanto vi scorgiamo ci lascia senza fiato.
Può succedere di scorgere un grande uccello, davvero grande, che proprio non ci aspettiamo, e dopo il giusto smarrimento e stupore capire che è un’aquila. Smarrimento e stupore perché non siamo sulle pendici dell’Albergian, all’Assietta oppure dalle parti del Ghinivert in punta al vallone di Massello. No, siamo in bassa valle, dove le conifere quasi non ci sono e i boschi di latifoglie coprono tutto lasciando soltanto un po’ di spazio ai prati e a qualche roccia.
Succede, in questa stagione, magari se c’è un po’ di vento.
L’aquila in queste giornate non ha molto da fare, il vento la porta senza farla faticare e anche per lei è bello andare a spasso, a vedere il mondo e imparare.
La nostra è giovane, è nata lo scorso anno o al più l’anno prima perché ha ancora molto bianco sulle penne della coda e delle ali.
È arrivata sopra noi senza farsi notare, come conviene a un predatore, ed è spettacolo grande guardarla volare. Forse anche lei osserva noi: avrà saputo che siamo specie da non fidare e ci controlla curiosa per capire se davvero da noi è meglio ad una certa distanza volare.
Ci guardiamo l’un l’altra, e l’esame dura a lungo. La fortuna ci assiste: l’aquila volteggia sempre dalla parte opposta al sole, così non perdiamo una sola delle sue mosse. Chissà se davvero punta noi oppure guarda il grande prato che ci sostiene e che comincia a tingersi di verde.
Ogni tanto batte le ali: un vuoto d’aria, o la brezza che s’è fermata un istante; poi riprende a planare senza fatica e a guardare.
Dura molto il gioco, fino a che, senza motivo, smette di roteare e fila dritta verso il declivio, diventa piccola e scompare.
Non c’è più.
A noi rimane il dubbio: c’era davvero quel grande uccello sulla nostra testa, soltanto un istante fa, a scrivere ghirigori nel cielo, o ci siamo sognati tutto?
Perché in primavera può capitare…

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