Il tempo di Caslus

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Caslus è una vecchia baita, in parte diroccata, che sorge sulle pendici settentrionali del monte omonimo, tra la Val Pellice, l’Inverso di Porte in Val Chisone e Pramollo, nelle praterie della Vaccera.
Usata soltanto in estate, serviva come rifugio agli animali e ai pastori nel periodo dell’alpeggio. Nota a tutti come Mianda’d Caslus.
Caslus significa castelluccio, e tale può apparire, con un po’ di fantasia, la piccola montagna verso la Val Chisone a lato del Colle della Vaccera. Un piccolo rilievo allungato che funge da balcone sulla pianura, con vista lontano fino a Torino e Superga da una parte, fino alle Alpi Marittime dall’altra con cartolina sul Monviso.
La mianda è più in basso, sul lato freddo, dove l’erba della prateria è più ricca e folta.
Per generazioni, ogni anno, gli uomini hanno condotto le mandrie in quei prati. Quelli più alti, perché in basso veniva raccolto il fieno. Per anni i prati si sono animati da giugno a settembre. Poi, lentamente, tutto è parso fermarsi. Le mandrie salgono ancora, ma il fieno non si raccoglie più, e dove lo falciavano sono tornati i boschi.
La mianda è caduta in disuso, una strada ha condotto le auto in quota per mirare quei paesaggi da fiaba senza faticare e l’uomo non vigila più di persona sui suoi animali, ma li difende con un filo bianco alimentato dalla corrente fornita dal sole.
Le voci dei pastori sono state coperte da quelle dei turisti; da chi corre: a piedi, in bici, in moto, lasciando qua è là traccia del suo passaggio.
La Mianda’d Caslus attende, paziente osserva il correre del tempo, dall’ultima neve di marzo ai primi fiori di maggio. Attende altri tempi, forse migliori e ascolta: non più l’eco delle parole in patois delle genti locali, ma voci con suoni diversi raccontare di altri uomini e altre terre.
La Mianda’d Caslus ascolta, guarda quanti passano e attende, che qualcuno torni con cuore a ridarle vita.
Il tempo corre.
Soltanto Caslus sembra immobile, indifferente agli anni. Le sue pietre osservano il via vai delle nuove genti e, ogni autunno, aspettano la neve per tornare al silenzio; e, ancora, la primavera a dischiudere le viole e le genzianelle.
È così da tanto tempo, cosi tanto e sempre uguale che per Caslus il tempo sembra essersi fermato.
In attesa delle nuove genti.