La ‘ritirata’

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Verso il Genevris

Il Colle di Costa Piana mette dolcemente in comunicazione la Val Chisone, e precisamente la parte più alta di Pragelato, con la Valle di Susa.
È un colle dolcissimo, il nome particolare lo racconta. Lo dice anche un cartello, piuttosto in mal arnese, che quello è il Col Cotte Plane, nella lingua di quella terra.
È amplissimo, senza una roccia a creare ostacolo, prateria immensa, delizia delle mucche che tra poco giungeranno in quel luogo per cibarsi di erba profumata. Lo attraversa, circa da Nord a Sud, la Strada dell’Assietta, così che anche ai pigri, o a chi la giovinezza l’ha lasciata anni fa, è concesso giungere il quel luogo a bearsi gli occhi.
Superato il colle la strada sale per un bel tratto, ché deve raggiungere il Monte Genevris.
Si va lentamente, per godere del paesaggio sulla Val Chisone, che si mostra fino alle montagne dell’Orsiera e di quello delle lontane e più alte cime della Valle di Susa.
Così all’occhio non sfuggono alcune costruzioni strane, poco discoste dalla via.
Sono fortini, piccoli blocchi di cemento armato, coperti da uno strato di catrame a impedire che l’acqua possa entrare in quei locali angusti. All’origine erano certamente coperti di terra a renderli invisibili dal cielo.
Ora il vento ha tolto tutto, ha avuto molti decenni a disposizione, e quei fortini sono diventati calvi, ma non brutti o sguaiati, perché nelle fessure s’è fatta strada qualche erbetta, qualche fiorellino.
Il tempo è il linimento migliore per tutte le storture umane.

Il Colle di Costa Piana

Dentro ai fortini –ne abbiamo scoperti tre – un piccolo locale; in uno ce ne sono due, di stanzette: una un po’ più grande prevedeva forse che lì dormisse qualcuno perché si potesse sorvegliare la valle giorno e notte. In tutti un possente basamento di cemento: secondo noi profani – di armi proprio non ci intendiamo – costruito per sostenere una mitragliatrice pesante, puntata attraverso una piccola finestrella quadrata che lascia entrare la luce con parsimonia.
Ma che ci fa un armamentario simile in un luogo tanto bello?
Gli storici darebbero certamente una risposta precisa ed esauriente, ma siccome noi nemmeno storici siamo, proviamo a immaginare.
Un bel giorno, negli anni ’20 o ’30 dello scorso secolo, qualcuno provvisto di molte medaglie sul petto – il singolare costume sopravvive ancora oggi – deve aver pensato che da quel colle tanto bello sarebbe potuto passare il nemico. Probabilmente i francesi. Così ha deciso la costruzione di quei fortini. Tanto a lui non costava nulla e non procurava alcuna fatica. Al più gli avrebbe permesso di appuntarsi un’ulteriore medaglia sul petto.
E i fortini furono.
Facile che non siano serviti a niente, che non sia mai stato sparato un colpo da quei blocchi di cemento che guardano il lontano Forte del Chaberton.
Con quel forte hanno condiviso una fine ingloriosa e giacciono violati.
Oggi sono una curiosità, una cosa da vedere. Con lo spreco di bacheche – spesso vuote – che si fa in Val Chisone, sarebbe bello ci fosse un cartellino piccolo piccolo per spiegare la storia ai pigri come noi.
Ma anche senza cartello, quelle costruzioni oggi senza scopo, offrono motivi per pensare e riflettere.

Verso la Val Susa

PS
In verità un scopo ce l’hanno. Dato che lì la terra è nuda senza nemmeno un alberello o un cespuglio ad offrire riparo, la gente li usa come gabinetto… Pardon, ‘ritirata’ si sarebbe detto ai tempi della loro costruzione.
Fine ingloriosa; certamente la meno pericolosa, ma ce ne dispiace. Perché sono comunque monumenti, tracce importanti della nostra storia, da rispettare comunque.
Ci vorrebbe qualcuno con un bel medagliere sul petto che disponesse la posa di un cartello, piccolo piccolo, per spiegare cosa sono quei grumi di cemento; qualcuno che provvedesse pure al decoro e alla pulizia di quei resti.
Forse non guadagnerebbe alcuna medaglia, ma – per quel che vale – avrebbe tutta la nostra riconoscenza e totale ammirazione.

Fortino

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