Scavezzacolli gentili

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Le grandi manifestazioni, anche sportive, dal nome possibilmente inglese, che fanno tendenza e scatenano mille interessi, non sono esattamente in cima alla scala dei nostri gradimenti.
Per questo dell’Iron bike non ci siamo mai interessati, salvo scoprire, marginalmente e casualmente, che per partecipare a quella competizione ciclistica occorrono grandi gambe, grande cuore e forse anche un pizzico di follia.
Pregiudizi, lo ammettiamo. Ma siamo figli del nostro tempo.
Quest’anno non avremmo fatto eccezione, l’Iron bike non l’avremmo certamente cercato e incontrato se non fosse stato lui a piombarci addosso, turbando le nostre abitudini quotidiane, passandoci per così dire sui piedi, a casa nostra. Accendendo la nostra curiosità.
Pur presi alla sprovvista, siamo infatti andati a vedere il passaggio, in discesa, dei partecipanti. Discesa, quindi visione lampo, tempo di ruotare il capo per vederli sparire dietro la curva o al coperto di alberi e cespugli.
Gente normale. E fin qui… ci aspettavamo mica degli unicorni!
Quel che invece ci ha colti di sorpresa è stata l’educazione, la gentilezza di molti corridori, la buona educazione. Molti ci hanno salutato: ‘ciao’, hanno gridato mentre sfrecciavano veloci, e ci scappava pure un sorriso; come usa quando si è in giro per il mondo e ci si trova a casa d’altri. Niente di speciale si dirà, il dovuto; certo, non fosse che siamo abituati al contrario; per questo quando incontriamo qualcuno educato e dalle buone maniere ci commoviamo.
Quei ciclisti dai modi cordiali ci hanno strappato ciascuno un sorriso e un ‘ciao’ altrettanto caldo quanto il loro, direttamente dal cuore.
Non sappiamo se hanno avuto fortuna nella corsa, e non cercheremo di saperlo. L’Iron bike continua a non entusiasmarci, ma quegli incontri velocissimi li serberemo tra i ricordi belli, e l’anno prossimo andremo ancora ad aspettarli, quegli scavezzacolli educati che ci piomberanno sulla strada di casa sotto il naso.
Per salutarli.
Intanto per dodici mesi dovremo sorbirci la sagoma simbolica dell’Iron bike: la beta rosso arancio violento impressa indelebilmente su alberi, rocce e strade, messa, voltata, ruotata e rovesciata in mille modi a dire quel ch’è stato, a marcare il territorio.
Forse è per questo che l’Iron bike non coglie le nostre simpatie. Non ci piace chi segna a tutti i costi indelebilmente il suo essere o passare, obbligando gli altri a ricordarlo nel tempo.
Pazienza, volgeremo lo sguardo altrove, aiutati dal ricordo dei ciclisti – pardon, biker; quelli da mountain bike, intendiamoci – sorridenti e gentili.
(Certo che se usassero vernice biodegradabile, lavabile dalla pioggia…).


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