I laghi dell’Albergian sorgono su in alto, circondati da pareti di roccia severe che soltanto verso levante lasciano un varco, perché possano guardare verso la Val Chisone e perché sia possibile, anche ai comuni mortali, raggiungerli.
Sono tre.
Il primo, il più grande, appare improvviso appena superata la caserma diroccata.
Una salita faticosa, dopo tutti i chilometri percorsi sin lì partendo dal Laux – comune di Usseaux -, una sorta di piano e poi una leggerissima discesa portano alla conca che ospita le acque. Gelide sempre, spazzate da vento freddo in tutti i mesi dell’anno.
Sulle rive le impronte delle mucche che hanno sostato a lungo su quelle sponde in estate, qualche raro fiore superstite, rimasuglio della bella stagione; attorno grandi massi, posati con delicatezza dai ghiacciai nella notte dei tempi.
Al lago grande dell’Albergian regna sempre il silenzio a fine estate, rispettato pure dai rari escursionisti che a settembre si spingono fin lassù.
Nell’aria c’è sapore d’autunno e forse già di inverno, non sufficiente però a scoraggiare chi vuole raggiungere il lago successivo, più in alto di qualche centinaio di metri oltre una ripida china pietrosa.
Un grande sforzo per pochi minuti e poi la sorpresa, amara: il lago è asciutto, soltanto un po’ di fanghiglia al centro; desolato; morto.
Niente a che vedere con lo splendido specchio che avevamo scorto dalla vetta dell’Albergian alcuni anni prima.
Dovrà aspettare la nuova neve e la nuova primavera per tornare alla vita.
Non è finita, non c’è limite alla speranza quando si va per laghi. Ce ne deve essere ancora uno, più su.
Un ultimo slancio. Questa volta vincente. L’acqua c’è e lo specchio è bellissimo, incantato, e non può essere diversamente in un luogo frequentato soltanto dal vento, ogni tanto dal sole e per tanti mesi all’anno dalla neve e dal ghiaccio.
Forse più in alto ce n’è ancora uno di laghetto. Ma non è certo e potrebbe essere secco pure lui.
L’ora tarda e la nebbiolina che ingombra l’orizzonte consigliano di tornare.
La discesa dura un attimo ed eccoci ancora sulle rive del Lago grande.
Su un masso un grazioso graffito, di buon gusto, inciso nell’anno del signore 1897 da tal Canonico: zappatore, pare di leggere; era la qualifica più semplice attribuita a un soldato del Genio militare. Il suo compito era scavare trincee; alloggiava sicuramente nella vicina caserma oggi diroccata. Lui l’ha vista viva quella costruzione altera.
Quel graffito gentile ricorda che quei luoghi attirano l’uomo da sempre, anche se spesso ci veniva per scopi non di pace.
È la storia che riemerge dai segni lasciati sulle pietre dai nostri padri. Una storia bella, vista oggi con gli occhi di chi ha potuto sedimentare i ricordi nel tempo.
Ancor più belli, però, la genzianella germanica fiorita accanto a un delicato trio di stelle alpine.
Sono assieme per farsi compagnia e per augurare felice ritorno a chi le osserva con un sorriso.
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