I segni di Vincent

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Le chiamano casermette. Quella del Vallone dell’Albergian, lato Laux, sulle carte è pure riportata come ‘rifugio’. Sono grandi costruzioni militari, molte centinaia di metri quadrati, costituite da piano terreno e da piano rialzato. Sotto spazio per gli animali, i servizi e i magazzini; sopra le camerate e forse i locali del comando. Difficile per noi profani dire meglio leggendo i resti.
Arrivando da valle, via Laux, Bergerie di Pra del Funs e poi dell’Albergian, la caserma appare improvvisa. Mentre su in alto a destra svettano le estreme propaggini della montagna che dà il nome a quella terra e più lontano, verso Ovest, si intuisce il colle che dà accesso al Vallone di Massello, sopra il capo del viandante che abbia scelto la via verso i laghi, una linea vicina e netta chiude il cielo.
Ghiaia sotto i piedi, rada erba su quel terreno povero e qua e là le stelle alpine: un incontro che non manca mai di carezzare il cuore, perché le stelle alpine sono un simbolo e perché quando vedi loro sai che sei davvero in montagna, che di qui in su non ci saranno più alberi e che gli incontri saranno soltanto con camosci, stambecchi e ogni tanto con l’aquila.
Mentre questi pensieri e queste cartoline d’ambiente fanno sognare e alleviano la fatica del salire, d’improvviso la linea che chiude l’orizzonte sopra la testa si rompe ed ecco la caserma: bella, altera e superba nonostante gli anni e gli sfregi subiti.
Quanto sarebbe bello vederla viva, animata non dai soldati che l’hanno eretta, ma dai viandanti, o dai pastori che, per una volta, potrebbero fare uno sforzo e mantenerla con decoro.
Ma se così fosse la casermetta non sarebbe più lei, sarebbe un’altra cosa, e non sappiamo se ci piacerebbe.
La verità è che vorremmo vederla viva ma animata della sua antica vita, coi soldati impegnati a costruire e non a combattere ubbidendo, sbattendo i tacchi a superiori spesso indegni della loro bravura di artigiani e pure di uomini di montagna.
Ma il tempo non si ferma e non è reversibile. Meno male. Così, volendo, ciascuno la casermetta viva se la può immaginare come meglio preferisce.
Intanto le mura si avvicinano, si fanno sempre più grandi. Coperte di graffiti, graffiati letteralmente, come richiede l’etimologia del termine, nella calce degli intonaci.
Alcuni sono vecchi di decenni: nomi, date e luoghi di provenienza, da tutto il Piemonte e anche da fuori.
Gente salita fin lì in pellegrinaggio, qualcuno magari che tra quelle mura era stato come soldato, o qualcuno degli eredi che ne avevano sentito parlare, e cantare la gloria e le gesta.
Perché funziona così: a distanza di tempo anche le cose vissute sgradevolmente si ammantano di mito e quando si raccontano si fanno giganti, così che un bel giorno si parte per andarli a vedere di persona quei miti. A volte rimanendone delusi, ma non può essere il caso della Caserma Est dell’Albergian.
Tutte graffiate le scritte, con un sasso tagliente oppure con un pezzo di metallo: lì attorno ce ne sono tanti; alcune poste molto in alto hanno richiesto perizia nel salire e mantenere l’equilibrio durante l’epica scrittura. Tutti assieme quei segni fanno storia, anche se non si può evitare di pensare che, se tutti avessero fatto così su monumenti molto più antichi, quelle vestigia sarebbero ridotte in polvere.
Oggi, ci suggerisce il pensiero, non si graffierebbe più la calce per lasciare un segno del proprio passaggio.
Un po’ perché s’è fatta spazio l’idea del rispetto – che bello -, un po’ perché darebbe fastidio sporcarsi le unghie e magari la maglietta firmata, un po’ perché si ricorrerebbe alle bombolette di vernice come insegnano le mura di molti palazzi in città. Graffiti: arte passata d’altri tempi, pensiamo.
Intanto siamo all’interno della costruzione e mentre questi pensieri ci corrono per la mente, l’occhio cade su una data: 2020. Questa è mica vecchia. E osservando tutto, ecco la scritta completa: vincent 2018 – et 2019 – 2020 – 2021.
È passato anche quest’anno il nostro amico Vincent, francese, come dice la congiunzione ‘et’.
Si vede che per lui, magari figlio di emigrati, quello è un pellegrinaggio annuale d’obbligo. Senza bombolette come avevamo pensato, forse perché pesano, forse perché graffiare è arte talmente antica, a partire dalla preistoria, che c’è rimasta nel sangue, incisa nel DNA. Forse perché a Vincent piace giocare, come piace pure a noi, lo confessiamo.
Personalmente, però, crediamo che lasciare un segno del nostro passaggio ad ogni piè sospinto sia attività specifica dei cani, per i quali segnare il territorio è questione vitale, e pure dei lupi, dato che son tornati, non degli umani. Al più si può scattare una foto e scriverle sotto, graffiarvi se proprio ci si tiene, ogni anno la data.
Ammettiamo però che senza Vincent e i suoi graffi, e quelli di centinaia di persone come lui, quelle mura sarebbero monotone, susciterebbero meno curiosità e meno interesse.
Ma lì attorno alla caserma, nello splendido ambiente che da tempo immemore la ospita, i motivi d’osservazione non mancherebbero di certo.
Sarebbe più triste? Sarebbe meglio?
Ciascuno se la cucini come più gli piace.


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