Valli incantate

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Il Colle della Vaccera è una delle porte di accesso alle Valli Chisone e Germanasca; passando poi per il vallone di Pramollo e scendendo a Perrero oppure a Perosa Argentina.
Un’orografia complessa e bellissima, modellata come meglio non si sarebbe potuto, per rendere difficile il passo e pure per difendere quelle terre dalle invasioni proveniente dalla pianura o dall’alta valle, dal Colle di Sestriere.
Perché la storia non è partita ieri. Le valli erano abitate, almeno stagionalmente, già nel neolitico, e da allora fino a poco tempo fa, vi si accedeva soltanto a piedi, al più a dorso di mulo per i più facoltosi.
Tutto questo viene alla mente affacciandosi a un colle con l’eterna curiosità di scoprire quel che c’è dall’altra parte, anche se quel colle lo abbiamo visitato mille volte.
Vale anche per il Colle della Vaccera. Amplissimo e dolce, pianeggiante e coperto di prati. Centinaia di metri a balcone sulla sottostante pianura, verso Est, e sulla Val Pellice e sul Vallone di Angrogna, a Ovest, fino al non lontano Monviso, in Valle Po. Uno spettacolo.
I colli sono luoghi di comunicazione tra le genti, di scambi e di conoscenza, di sapere; sono luoghi dove il pensiero può volare e pure la fantasia. Quante volte ai colli sono legate leggende e storie, quante vicende hanno avuto inizio o termine in quei luoghi, quante volte i colli sono stati via per la libertà, e pure per l’esilio.
L’altro giorno siamo spuntati dal Colle della Vaccera sulla Valle Angrogna. Di qua cielo terso limpidissimo, leggera brezza fredda a ricordare che l’estate è finita e ben lontana. Più nessun animale al pascolo. Di là l’opulenta e produttiva pianura, coperta da uno strato grigio compatto uniforme. Nebbia? Inquinamento?
Il fumetto grigio chiaro, quasi azzurrino, si stacca dal cielo della pianura e si insinua nelle valli, le evidenzia e le fa emergere. Si mostrano come solchi scavati, sculture magnifiche, incastrate perfette a formare una scala verso le montagne più alte.
Il paesaggio è da fiaba. Siamo in pieno pomeriggio e il sole brilla alto, ma non stupirebbe se in quell’incanto tra le fronde di un abete o tra quelle rade d’una betulla apparisse improvvisa una fata. A raccontarci una storia.
No, non è possibile. Niente fate e niente gnomi. Soltanto noi, qualche raro turista, qualche uccello di passo che sorvola veloce a guadagnare cieli lontani. E un paesaggio bellissimo, che ci incatena gli occhi, che non li molla, che non ci lascia andare. E ci fa il cuore dolce dolce.
Perché abbiamo deciso che quella nebbiolina furtiva che si insinua nelle valli a renderle fatate sia foschia, nebbiolina, appunto, soltanto nebbiolina. Non inquinamento.