L’anima profonda

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Borgata Clot

A Inverso Pinasca, poco sopra la Borgata Fleccia, riva orografica destra della valle, superata la ripida scarpata figlia dell’erosione lunga millenni praticata dal Chisone sui depositi glaciali, ecco la Borgata Clot.
Tante case, quasi tutte ristrutturate e molte abitate, disposte orizzontalmente a guardare il sole. L’Inverso infatti, come suggerisce il nome, il sole lo vede meno di altre terre diversamente esposte, ma lo coglie per primo al mattino, fatto importante in inverno quando morde il gelo.
Tra le case una grande chiesa dedicata a San Francesco di Sales. A sottolineare come quei luoghi fossero densamente popolati fino a qualche anno fa.
Quel che colpisce è il nome, Clot, che in patois vuol dire ‘pianoro’. Di pianeggiante abbiamo visto ben poco, ma è pur vero che a monte delle case il terreno è ancor più ripido, si inarca spietato, che se vuoi guardare avanti, su verso la lontana vetta della montagna, devi rovesciare il capo all’indietro.

Il lavatoio dei Clot

Capisci immediatamente quanta fatica debba comportare l’andar per quei luoghi. Abitati.
A distanza quasi regolare tra loro, nelle zone più riparate della montagna, ecco tanti bei villaggi con le case a biancheggiare tra i boschi a dire che lì vive qualcuno; lo confermano i comignoli che fumano e la biancheria stesa ad asciugare.
La visione è così bella che non c’è pendio scosceso che possa fermare la curiosità d’andare a vedere da vicino tanta meraviglia.
Attraversato il Clot, ancora in parte immerso nell’ombra, superato un lavatoio bello con tanta acqua a giocare di riflesso, salutati con reverenza alcuni antichi castagni, eccoci sul lato soleggiato del piccolo vallone.
Ci accoglie un cane che lì ha accompagnato il padrone, intento a curare le viti che sono apparse sopra di noi sulla sinistra. È una visione d’altri tempi quella del vigneto, delimitato a Nord da un lungo muro a fermare il freddo e a tenere un po’ più a lungo il caldo, con quell’uomo non più giovane che si muove con precisione e sicurezza tra le sue piantine, sostituendo i pali deteriorati, legando i tralci, compiendo cento altri movimenti che somigliano a riti, quelli utili a coltivare la vite in quei luoghi aspri per trarne un po’ di vino, magari non ‘grosso’ – ad alta gradazione – come si diceva un tempo, ma sincero.

Luciano

L’incontro con Luciano è un colpo di fortuna, lui sa tutto di quel posto, dove è nato, e ci indica con la mano i villaggi in alto, i loro nomi e dove sono i sentieri per raggiungerli. Oppure la strada, perché a una fitta rete di sentieri si sono sovrapposte le strade a rendere abitabili quelle scoscese rive.
Il villaggio più vicino è Serre, alla sommità d’un grande prato. Intanto l’orizzonte si è aperto e la valle appare bella nella luce del mattino, da Perosa Argentina fin giù verso Villar Perosa.
Di fronte le case splendono nel sole nato da poco, l’aria è tiepida nonostante si sia a gennaio.
Siamo a Serre, saliamo lungo quella che pare la via principale. Poi uno spiazzo da dove vola la vista. Combavilla è la borgata più vicina; poco sopra Clos Ciauvin e, appena più in là, Valentin. Nomi dolci, da carezza.
Sarebbe bello raggiungerli ma l’orologio corre e all’Inverso il sole in inverno tramonta presto, poco dopo mezzogiorno.
Sarà per un’altra volta.
Un ultimo sguardo a un lavatoio nascosto in una grotta, pulito e curato, quasi lì il tempo si fosse fermato; nella penombra pare di vederle le donne, di sentirle, le antiche nonne, lavare i panni in quell’acqua gelata profittando dell’occasione per chiacchierare un po’, scambiarsi qualche pensiero, in patois, che più che linguaggio è musica, per poi correre a casa a preparare il pranzo. Prima che tramonti il sole.
È la brezza leggera che s’è levata da poco a sussurrarci così bello alle orecchie.
O, forse, l’anima profonda dell’Inverso.

La vigna di Luciano, sullo sfondo Pinasca

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