Il trattore del Don

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Non parliamo del fiume in terra russa di scellerata memoria, e nemmeno del titolo reverente con cui usa rivolgersi ai sacerdoti, ‘don tal dei tali’ o ‘tal altro’.
Parliamo di una borgata di Inverso Pinasca, quasi all’estremo Sud del comune, incollata con qualche colla speciale alla montagna, perché soltanto così è possibile credere possa rimanere su quel pendio che, più che scosceso, è a picco sulla valle.
Ben orientato nel suo piccolo vallone, circa tra Pian Maurin in basso e Vivian un po’ più in là, il Don: appena si alza il sole, subito viene baciato dai raggi.
Dev’essere per quello che hanno costruito lassù quel gruppo di case.
Da lontano si vede benissimo quel villaggio dei padri, ma se ti avvicini e guardi dalla strada sottostante scompare: come giocasse a nascondino.
Per raggiugerlo bisogna passare dai Vivian, proseguire per una stradina stretta e ripidissima per circa mezz’ora, attraverso prati e campi terrazzati abbandonati, preda di rovi, cespugli e vitalbe fiorite a mantenere tutto l’inverno i loro batuffoli bianchi sospesi agli alberi, ed ecco, il Don appare.
Proprio sulla tua testa.
Ancora un po’ di salita e ci sei dentro. Una sola stradina lo attraversa. Stretta. Selciata, delimitata dai muri delle case che fungono da sponda a sostenere il passante se barcolla.
Il cielo azzurro forte e il silenzio che regna sovrano, rendono incantata la scena, irreale, in quel posto dove tutto è verticale. Il piano è sotto, appartiene a un altro mondo, giù al fondo della scarpata che ti ha allungato il fiato per salire, nella piccola spianata modellata da Chisun; laggiù dove sorride Dubbione, quasi assopito nel mattino.
Improvviso davanti agli occhi un trattore, un piccolo trattore; come potrebbe essere grande in quegli spazi angusti? Antico, a riposo da tempo, chissà quando lì portato. Un ‘Bertolini’, meccanica italiana buona dei tempi belli, parcheggiato davanti al civico 9, ancora ben gommato, col sedile di lamiera duro da procurare calli al sedere. L’avevano pure coperto con un telo per ripararlo un po’, ma il vento ha tolto tutto e nessuno più se n’è curato.
Il trattore del Don.
Un Bertolini T412 della metà del secolo scorso. La sua pubblicità recitava: ‘dove un uomo può camminare il T412 può lavorare’. C’è da crederci.
Le apparizioni sono sempre improvvise, non te le puoi aspettare, sennò non sarebbero apparizioni. Sono come uno scherzo di gioco, come il sorriso d’una persona sconosciuta per strada, e non puoi immaginare dove avverranno.
Perché non si può pensare di dover salire al Don per ammirare un Bertolini di tanti anni fa, ancora bello e fiero nell’attesa che qualcuno gli dia nuovamente vita.
Invitandolo al lavoro.