I prati di Colet

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Colet. Dietro la Montagna dell’Inverso

Di villaggi che si chiamano Colet, Colletto, nelle valli Chisone e Germanasca ce ne sono tanti.
Colet, piccolo colle; facilissimo, si capisce subito il perché del nome e infatti quei villaggi sorgono sempre non su un colle vero e proprio, ma su un punto dove la terra sospende un attimo la sua corsa sfrenata in salita, tira il fiato e spiana un po’, poco poco, quanto basta per costruirvi un po’ di case, spesso soltanto estive. Sono sempre molto belli i Colet, con un panorama che lascia a bocca aperta.
Di quello di Pinasca, però, sopra Castelnuovo e l’Albarea, proprio non sapevamo. Ci siamo giunti per caso attirati dai prati.
Da lontano infatti, dalle sponde di Chisun giù in basso, si vede la montagna che conduce alla vetta di Cuccetto tutta coperta di boschi, tranne che in quella zona; quell’ampia area di prati, con un pizzico di case in un angolo, due o tre appena, salta subito all’occhio.
I prati, dopo l’abbandono della terra da parte dell’uomo diventato operaio, tecnico o burocrate, sono cosa rara. Ancor più rara se tenuti e accuditi. Tanta unicità obbliga a una visita per così dire di cortesia. In realtà di curiosità.
Al Colet di Pinasca si potrebbe giungere in auto, ma in inverno la strada è interdetta ai veicoli. Così, superata Marutera, siamo giunti in automobile ad Albarea e poi su a piedi, in mezzo a boschi di castagni fitti.
Ad avvisarci d’essere giunti è stato per primo un cartello un po’ sbilenco: Colletto, annuncia in italiano. Subito dopo i prati che ci hanno attratti. Grandi, belli puliti perché in estate ci vanno le mucche, e in un angolo le case. Quattro soltanto, strette strette, quasi in disparte in basso, a non sottrarre terra a quello che un tempo era pascolo vitale per chi in quel luogo viveva.

Colet. Dietro le montagne innevate della Val Germanasca

Il paesaggio è sontuoso, spazia dalla bassa valle, giù verso Villar Perosa, fino alle vette della Val Germanasca passando sui tetti di Perosa Argentina, con di fronte la montagna dell’Inverso nella sua immensità: raramente la si può ammirare tutta assieme in un unico abbraccio degli occhi; da basso se ne vede sempre soltanto un pezzo e sembra meno imponente.
Le casette sono curate, amate. Davanti una fontana con un grande abbeveratoio, tutto in lose. Niente acqua. In inverno la tolgono a evitare che il gelo distrugga tutto. In estate invece deve essere incantevole sentirla cantare, magari con accompagnamento di campanacci di animali al pascolo. Chissà se c’è pure la voce di qualche bambino…
Un tempo, parecchio tempo fa, c’era certamente, e assieme alla sua si sarebbe potuta sentire anche quella della mamma, e attorno alle case ci sarebbero state le galline a razzolare. ‘Tengono lontane le vipere’, diceva la gente.
Ricordi, ricordi belli. Ma il tempo passa e porta via tutto. Soltanto l’uomo può strappargli qualcosa dagli artigli.
Quando si ricorda dei prati, di quanto siano belli e di come si fa a mantenerli.
Quando si ricorda che suo dovere è lasciare qualcosa ai figli che non sia soltanto denaro.

La fontana di Colet

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